Ha fotografato mezzo secolo di storia del Giappone, i 50 anni che hanno trasformato il Paese del Sol Levante in modo ancora più radicale che in Occidente. Cambiamenti passati attraverso una guerra tragica conclusa nel modo peggiore, i “test nucleari” americani sulla popolazione civile di due città. Ma Domon Ken (1909-1990) ha raccontato anche le città e le persone, le tradizioni e l’arte dei templi buddisti. Al grande fotografo giapponese - un maestro assoluto della fotografia giapponese, iniziatore della corrente del realismo sociale – è dedicata la mostra al Museo dell’Ara Pacis di Roma, la prima fuori dai confini del Giappone. Circa 150 foto in bianco e nero e a colori scattate tra gli anni ’30 e gli anni ’70 raccontano l’evoluzione di questo artista che parte dal fotogiornalismo, passa per la propaganda, approda alla fotografia sociale e di denuncia delle condizioni di vita dei figli dei minatori del Sud del Paese fino alle foto drammatiche di Hiroshima, per approdare poi a una dimensione più spirituale e meditativa ricercata prima nei ritratti di artisti giapponesi e poi direttamente nell’arte degli antichi templi buddisti. Pesca all'Ayu, 1936 Artista moderno e aperto alle influenze dei movimenti del ‘900, verrà soprannominato “Il Cartier-Bresson giapponese” per la sua capacità di raccontare il suo popolo. Il suo realismo sociale è ispirato anche dalla mostra a Tokyo nel 1951 di giganti della fotografia come appunto Henry Cartier-Bresson, Robert Doisneau e Brassai. Quando negli ultimi anni un’emorragia cerebrale lo costringerà sulla sedia a rotelle e si dedicherà con passione alla pittura, sceglierà come psedudonimo “Domodigliani”, in omaggio all’artista italiano che più di altri lo aveva ispirato.
Rumie, 1959 Domon Ken. Il Maestro del realismo giapponese. Roma, Museo dell’Ara Pacis, dal 27 maggio al 18 settembre 2016