“Revisionista” si considerava davvero, anche se non nell’accezione negativa che a volte viene attribuita al termine. Verificare i fatti e, più che altro, mettere continuamente in discussione le interpretazioni più convenzionali era per
Ernst Nolte il mestiere stesso dello storico. Un compito che lo studioso tedesco (morto oggi a a Berlino all’età di 93 anni) aveva assolto con assoluta coerenza, anche quando le sue tesi avevano suscitato polemiche e contestazioni. Decisivo, in questo senso, il suo saggio del 1987,
La guerra civile europea (in Italia è edito da Rizzoli), nel quale la vicenda storica compresa tra il 1917 e il 1945 viene riletta come un unico processo, innescato dalla Rivoluzione bolscevica in Russia.
Lo stesso nazismo, secondo Nolte, sarebbe da considerare anzitutto come reazione al rischio dell’espansione comunista verso Occidente. Una posizione giudicata come debole e sostanzialmente assolutoria da molti colleghi di Nolte e da diversi intellettuali: l’Historikerstreit, la “controversia tra gli storici” che ne era derivata ha segnato in modo considerevole, e non solo in Germania, il passaggio tra anni Ottanta e anni Novanta, tra la caduta del Muro e il risveglio dei nazionalismi nella ex Jugoslavia. Anche per i detrattori, quello di Nolte divenne un nome impossibile da ignorare nel dibattito politico e culturale.