C’è voluto papa Francesco per convincere Ennio Morricone a scrivere una Messa. Sembra strano, ma a 86 anni, con più di 500 colonne sonore e un centinaio di partiture classiche composte in sessant’anni di carriera, il musicista premio Oscar non aveva mai scritto una Messa, «che è pur sempre una tappa fondamentale nel percorso di un compositore, un passaggio fondamentale come ci insegnano i grandi da Mozart a Schubert a Bruckner» racconta Morricone. Stasera alle 18 nella chiesa romana del Gesù debutta in prima assoluta la Missa Papae Francisci. Anno duecentesimo a Societate Restituta. Pagina per doppio coro e orchestra che vedrà lo stesso Morricone sul podio per dirigere la Roma sinfonietta e i cori dell’Accademia di Santa Cecilia e dell’Opera di Roma. «Qualche giorno fa sono stato in Vaticano a portare al Papa la partitura».
Come è stato l’incontro con Francesco?
«Ci siamo guardati a lungo, in silenzio. Il papa mi guardava, aspettava che gli raccontassi della mia Messa. Gli ho fatto vedere la prima pagina della partitura dove le note disegnano una croce: una linea affidata a corni e trombe formano il braccio verticale della croce; su questa linea a un certo punto si innesta tutta l’orchestra che disegna l’altro braccio. Papa Francesco mi ha da subito conquistato perché da subito ha caratterizzato il suo ministero dando una svolta alla Chiesa, cercando di correggere le storture che pure ci sono. Una strada che, però, ha potuto percorrere per il grande lavoro preparatorio fatto da Benedetto XVI».
Come è nato il progetto di questa "Messa"?
«Mia moglie Maria, con la quale siamo sposati dal 1956, mi ha sempre chiesto di scrivere una Messa. Ma non l’ho mai fatto. Poi una mattina, uscendo di casa, ho incontrato padre Daniele Libanori, rettore della chiesa del Gesù che è a due passi da casa mia a Roma e che spesso frequento. Il gesuita mi ha chiesto di scrivere una partitura per celebrare i duecento anni della ricostituzione della Compagnia di Gesù. Era il 2012. Mi sono preso un po’ di tempo per pensare. Nel frattempo è stato eletto Papa Francesco, il primo Pontefice gesuita. Ho detto di sì e ho pensato di dedicarla a lui. E anche a mia moglie Maria. Ecco che è nata la Missa Papae Francisci. Anno duecentesimo a Societate Restituta. Che acquista un valore ancora maggiore per me che da sempre sono credente, cresciuto in una famiglia cattolica e con questa impronta che sempre ha segnato la mia vita».
Come ha lavorato per musicare l’Ordinarium della Messa, testo con il quale si sono confrontati i più grandi?
«Ho cercato di mettere in campo tutta la mia esperienza musicale, di far emergere chiaramente il mio stile. Non mi sono mascherato da Palestrina o Bach, ma ho voluto che la mia cifra stilistica fosse ben riconoscibile. C’è un organico strumentale tipico delle mie partiture, con trombe e tromboni, molte percussioni, violoncelli e contrabbassi, ma nessun violino. Ho voluto poi un doppio coro per riallacciarmi all’insegnamento del Concilio di Trento. Musicalmente si presenta come una partitura modale, che usa la serie delle sette note. Un superamento della monodia gregoriana per dare spazio alla polifonia di voci in un clima di serenità e riconciliazione. Il Kyrie rompe il silenzio, introduce l’ascoltatore nel clima liturgico, ma prepara anche l’esplosione gioiosa del Gloria. La fortuna della musica è che è un’arte che non deve essere spiegata, solo interpretata dagli ascoltatori in base alle emozioni che i suoni suscitano in loro. Ho guardato a Monteverdi e Frescobaldi, ma anche a Stravinskij. E soprattutto al mio maestro, Goffredo Petrassi, che ha scritto pagine spirituali intense come Noche Oscura e il Salmo 9».
C’è anche il Morricone che scrive per il cinema in questa "Messa"?
«C’è una doppia citazione, all’inizio e alla fine del brano, affidata al coro: si sentono echi della colonna sonora del film Mission. Nella pellicola di Roland Joffé si raccontava il massacro degli indios da parte di spagnoli e portoghesi e dell’opera dei gesuiti in terra di missione. Una pellicola ambientata nel 1750, poco prima che nel 1773 venisse decisa la soppressione della Compagnia di Gesù. Sono felice che con questa Messa si chiuda un cerchio perché celebro i duecento anni della ricostituzione, avvenuta nel 1814, della Compagnia».
Il celeberrimo tema Gabriel’s Oboe di Mission spesso risuona nelle nostre chiese.
«Ma tutta la mia musica ha sempre avuto in sé qualcosa di sacrale. Per spiegare il perché devo andare con la mente agli anni Sessanta, alle mie prime colonne sonore. Lavoravo con Luciano Salce per il quale ho firmato le musiche per Il federale. Dopo alcuni anni di collaborazione Luciano mi disse: "Mi sono accorto che hai un linguaggio sacrale e mistico, che mal si adatta a trame comiche come le mie. La nostra collaborazione finisce qui". Restammo buoni amici, ma non scrissi più colonne sonore per lui. La sua riflessione mi fece pensare. Tanto è vero che nella mia poetica ho sempre riscontrato qualcosa di sacrale e di mistico, anche nelle colonne sonore che ho scritto per gli western di Sergio Leone. Ho scritto anche pagine propriamente sacre. Nel 1966 un Requiem, nei primi anni Novanta ho scritto una Via Crucis, nel 1995 un’Ave Regina Caelorum, nel 2008 Vuoto d’anima piena per la Cattedrale di Sarsina».
Dopo la Missa Papae Francisci c’è qualche altra pagina sacra che le piacerebbe musicare?
«Non è propriamente sacra o liturgica, ma avrei voluto scrivere qualcosa sulla Divina Commedia di Dante e in particolare sul Paradiso. Non volevo però mettere in musica i versi, già musicali e perfetti, ma costruire qualcosa che ripercorresse la concezione dantesca del Paradiso, un’idea di salita verso la contemplazione del mistero. Ho chiesto un libretto, me lo hanno preparato, ma era troppo pieno dei versi di Dante. Così ho rinunciato al progetto».
Potrebbe riprenderlo visto che si celebrano i 750 anni dalla nascita del poeta…
«Non lo escludo. Per ora, però, ho sul tavolo la colonna sonora per il prossimo film di Giuseppe Tornatore».
Papa Francesco per convincere Ennio Morricone a scrivere una Messa
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