Dal cuore al pensiero, dalle emozioni alle riflessioni: quando vuoi affrontare la paura della guerra o del terrorismo con i più giovani non puoi usare il manuale, occorrono storie credibili di coetanei che arrivino dritte a perforare la paura là dove la paura si annida e scatena fantasie ancora più cupe. C’è una grande eco delle emergenze che affliggono il nostro tempo nella narrativa che approda alla fiera di Bologna, perché quando la guerra mette in fuga popoli di disperati o prende la forma delle stragi insensate dei nostri giorni e il volto di giovani kamikaze, la letteratura deve fare la sua parte. Aiutare a dare un nome alle emozioni, a far sì che il lettore possa entrare dentro le storie più drammatiche, con passione e distacco insieme, sapendo che ci sarà una via d’uscita, e riconoscendo nei tormenti dei protagonisti anche i propri. La scrittura però richiede una penna lieve, senza buonismi, una lingua articolata ma lineare, levigata, e persino poesia perché solo così la cronaca si può fare letteratura. Un rischio che Antonio Ferrara si accolla ogni volta che dà voce alle sue creature apparentemente fragili e vittime di storie complicate che alla fine tirano fuori un coraggio che non sapevano di avere. Come Irfan, protagonista di
Mangiare la paura (Piemme, pagine 115 , euro 15,00), tredicenne pachistano entrato alla scuola coranica, dove potrà mangiare almeno una volta al giorno, pensando di farsi strada nella vita grazie allo studio. Presto però scopre che alla
madrassa, dove patisce la crudeltà dei maestri e l’ossessione di un islam sanguinario, i talebani hanno stabilito per lui un destino da kamikaze. Da eroe. E allora deve scegliere, spiega Ferrara, «di pensare con la propria testa. Che è anche la via d’uscita per elaborare il senso di insicurezza e la paura che arrivano continuamente dall’attualità. Da scrittore ho fatto anch’io il mio piccolo tentativo di “mangiare la paura” per raccontare una storia piccola di ragazzi dentro una Storia grande, contando sull’empatia e sul potere della scrittura di addomesticare la realtà». La stessa sfida che Viviana Mazza si è assunta nel dar voce, alternando cronaca e romanzo, alla storia vera di quelle
Ragazze rubate (Mondadori, pagine 336 , euro 15,00) dai miliziani di Boko Haram in Nigeria. Una storia dura che, raccontata con equilibrio, riesce a mantenere salda una duplice speranza: la salvezza delle ragazze e la possibilità che il lettore possa sentire con il cuore la loro sventura, vedendole tutte, come si augura l’autrice, «non solo come un numero ma come le figlie curiose, ambiziose, piene di grazia che le loro famiglie vogliono riabbracciare». Il sogno di ritrovarsi, di riconquistare una serenità perduta, del resto, costella molti racconti che parlano di fuga, separazioni, dolori. Ne è una prova
Il sogno di Youssef, di Isabella Paglia illustrato da Sonia Maria Luce Possentini (Camelozampa, pagine 32, euro 15,00) dedicato «a tutti i bambini che scappano dai buchi neri delle guerre dei grandi» e tristemente devono rassegnarsi a diventare adulti in fretta, a perdere gli amici restando appesi al sogno di ritrovarli. Una sola voce attraversa
E se un giorno il vento di Anna Baccelliere e Chiara Gobbo (Arka, pagine 32, euro 12,00), quella di un bambino di un Paese in guerra, rimasto solo a domandarsi tra le macerie come riconoscere il nemico. E perché odiarlo. Domande ingenue: in tempo di guerra non c’è tempo né per i bambini né per i loro perché. Che gli editori abbiano fatto incetta di bei nomi della narrativa italiana per raccontare storie vere di ordinaria migrazione lo dimostrano sia un nuovo capitolo della serie di Valentina firmata da Angelo Petrosino,
Amir, il mio amico siriano( Piemme, pagine 168 , euro 8,50) doveValentina e i suoi amici fanno conoscenza con un nuovo compagno di classe fuggito con la famiglia dalla guerra siriana. Fulvia Degl’Innocenti è l’autrice di
Quando viene la mamma? per l’antologia
A braccia aperte. Storie di bambini migranti (Mondadori, pagine 48, euro 9,90). È la storia vera di Hazem, piccolo profugo approdato con il papà dopo una faticosa via crucis dalla Siria in un centro di accoglienza alla Stazione centrale di Milano in attesa della mamma e del fratellino che per la fuga hanno dovuto prendere un’altra barca. «In realtà – spiega – c’è poco da inventare in queste storie che la cronaca offre con una ripetitività straziante. Ciò che invece conta è come si racconta. E cioè con quel tono lieve e poetico della fiaba capace di far sentire vicini temi lontani e di affinare quella sensibilità che aiuta a mettersi nei panni degli altri ». Testimonianza straordinaria, in presa diretta, è invece quella che arriva attraverso le pagine di
Sos uomo in mare (Giunti, pagine 160 , euro 9,90) dall’ammiraglio Giuseppe De Giorgi – capo di stato maggiore della Marina –, il volto umano e l’anima della missione
Mare nostrum che, grazie a uno stuolo di capitani, marinai, medici e volontari, ha messo in salvo migliaia di naufraghi in balia dei barconi dei trafficanti di vite umane. Ligio a quella legge non scritta che impone di salvare chiunque in mare si trovi in difficoltà.