Maria Romana De Gasperi (1923-2022) - Ansa
Nel giorno in cui si celebra il trigesimo di Maria Romana De Gasperi proponiamo questo "racconto dal vivo" della sua persona e del suo pensiero negli ultimi mesi di vita. Per l’occasione ricordiamo che oggi alle 18, nella Basilica di San Prospero a Reggio Emilia, monsignor Giovanni Costi, co-direttore del Centro diocesano di Studi storici, presiederà la santa messa per il trigesimo e in ricordo del padre Alcide. Iniziativa promossa dal Circolo Giuseppe Toniolo e dalle associazioni cattoliche diocesane.
Alcide De Gasperi (1881-1954) - Archivio
Quando Maria Romana De Gasperi mi accolse per la prima volta nella sua casa di Roma, per iniziare una lunga chiacchierata che sarebbe dovuta diventare un libro, l’antica scrivania di suo padre era stata portata via soltanto da pochi giorni. L’avevano imballata e caricata su un furgone diretto a Trento, per esporla in una mostra dedicata al grande statista. Mi confessò che le sembrava ancora di sentire il ticchettio di quel vecchio strumento di lavoro sul quale suo padre aveva scritto per tanti anni. Sosteneva di aver provato come un distacco dalla parte più giovane della sua vita, vedendo portar via quel mobile.
Anche lei, mi disse, aveva trascorso giornate intere su quella scrivania in legno mentre i suoi figli crescevano, raccogliendo il materiale e le testimonianze per scrivere la biografia di un uomo che ha sempre creduto nella politica e nell’educazione di un popolo alla libertà e alla giustizia. Con una gentilezza e un’eleganza d’altri tempi la figlia primogenita e assistente personale di Alcide De Gasperi mi fece accomodare in uno studio sobrio e silenzioso, adornato da un grande affresco che ritrae suo padre e da una libreria piena di volumi sulla storia dell’Italia contemporanea. Era il dicembre 2019. Abituata da sempre a raccontare suo padre fino quasi a trasfigurarsi in lui, rimase molto sorpresa quando scoprì che avrei voluto chiederle di parlare anche di sé stessa, poiché la sua grande modestia l’aveva sempre trattenuta dal farlo. Poi, complice la pandemia, il progetto del libro è proseguito con grande difficoltà fino ad arenarsi definitivamente poco prima della sua morte, il 30 marzo scorso. Da quel lontano giorno del 1954 in cui perse suo padre, Maria Romana De Gasperi ha sentito il dovere di raccontare ogni singolo dettaglio della vita del più grande uomo politico italiano del XX secolo. Non si è limitata a tenere accesa una luce sulla sua memoria e ha declinato meglio di qualsiasi accademico i momenti in cui il respiro della nostra storia si è fatto potente. Ha analizzato un’enorme quantità di lettere, documenti e ricordi personali che le hanno consentito di ricostruire un’irripetibile esperienza politica in numerose opere biografiche dedicate al padre. «Era un uomo dotato di una straordinaria dirittura morale e infatti nessun avversario politico ha mai trovato qualche macchia sulla sua vita tale da poterlo compromettere o colpire sul piano personale. Ed era anche un intellettuale che quando finì in carcere scriveva lettere in latino », mi disse. «Ai tempi del fascismo al mattino lavorava in Vaticano come bibliotecario, nel pomeriggio traduceva te- sti in tedesco dettando le frasi ad alta voce a nostra mamma, che le batteva a macchina. Noi bambine dovevamo stare in silenzio per non disturbarli. Quando era presidente del Consiglio la sera si rilassava leggendo le egloghe di Virgilio in latino e l’Anabasi di Senofonte in greco».
Delle quattro sorelle De Gasperi, Maria Romana è stata senza dubbio quella più legata al padre e nel corso degli anni ne ha raccolto l’eredità politica, spirituale e umana. «Quando ero bambina essere sua figlia non significava niente di particolare, perché lui non ci aveva raccontato niente della sua vita precedente, la politica, la lotta antifascista, il carcere e tutto il resto». Ma le cambiarono qualche anno più tardi. «Cominciò a chiedermi di portare pacchi di lettere a un vicino che abitava al piano di sotto. Poi qualche giorno dopo mi chiese di andarli a riprendere. In seguito capii che ciò avveniva quando c’era qualche manifestazione fascista o visite di ospiti stranieri che il Duce riceveva in città, e si temevano arresti e perquisizioni. Quelle carte contenevano la sua storia, a partire da quella vissuta durante il periodo austro-ungarico e dovevano quindi essere messe al sicuro». Maria Romana iniziò a lavorare con lui alcuni mesi prima che finisse la guerra. «Lo seguii già a Salerno, dove dal febbraio 1944 si insediò il governo provvisorio dell’Italia che stava uscendo definitivamente dall’era fascista. Ero l’unica donna e avendo studiando dattilografia mi fecero redigere testi e documenti. Quello era un governo molto povero, che all’epoca rifletteva la situazione del nostro Paese. Quando eravamo a tavola, nella villa che aveva accolto tutti i ministri e i collaboratori, anche il cibo era scarso. Si respirava un clima di povertà ma anche di profonda dignità. L’Italia era una nazione allo stremo, che aveva partecipato alla guerra dalla parte sbagliata e doveva ricominciare da zero facendo un lavoro enorme al fianco degli Alleati. Si percepiva un pressante bisogno di tornare a essere ascoltati nello scacchiere internazionale. Ci riuscimmo a poco a poco, con grandi sacrifici e tanto lavoro».
Sulla scrivania dello studio di Maria Romana De Gasperi c’era una grande foto del padre con una dedica particolare: «alla mia cara segretaria e compagna d’America». Si riferiva allo storico viaggio che fecero insieme nel 1947, quando lui era già presidente del Consiglio. «Un vecchio quadrimotore ci portò per la prima volta negli Stati Uniti mi raccontò -. Non fu una visita ufficiale perché non avevamo ricevuto alcun invito da Washington ma mio padre cercò in tutti i modi di avvicinare il governo statunitense perché all’epoca il nostro Paese versava in una situazione molto difficile. Dovevamo riconquistare credibilità Oltreoceano ma soprattutto ottenere aiuti economici per la ricostruzione». Era un momento decisivo e ci fu il rischio concreto di tornare a casa a mani vuote. «L’Italia era letteralmente alla fame ma la richiesta inoltrata dalla nostra ambasciata per un aiuto concreto continuava a non ricevere risposta. La penultima sera mio padre mi confidò che ormai aveva perso quasi ogni speranza, invece proprio l’ultimo giorno si vide consegnare un assegno da cento milioni di dollari che ci consentì di tornare in patria con gli aiuti necessari per la ripresa economica. Anche i comunisti, inizialmente scettici, alla fine dovettero ricredersi». Nel 1964, a dieci anni esatti dalla morte di suo padre, Maria Romana dette alle stampe la sua biografia, De Gasperi. Uomo solo. Una definizione che secondo lo storico Pietro Scoppola non era soltanto una felice immagine letteraria ma anche un’acuta intuizione storica. «Non significava che fosse un uomo votato alla solitudine. Al contrario, viveva molto volentieri in mezzo alla gente. Ma si ritrovò solo in molti periodi della sua vita, quando dovette prendere decisioni assai difficili. Durante il periodo fascista, ad esempio, non poté parlare quasi con nessuno al di là di pochissimi amici. Lo stesso avvenne in seguito, quando parlava al popolo dicendo sempre ciò che pensava. La sua fu innanzitutto una solitudine di natura politica, poiché la 'sua' politica era basata sulla serietà, sui principi e sulla convinzione di essere sulla strada giusta». Durante le interviste, con un gesto quasi istintivo, Maria Romana alzava spesso lo sguardo alla sua sinistra indirizzando gli occhi verso il grande ritratto del padre appeso alla parete del suo studio. Accadeva proprio mentre con le sue parole riportava in vita qualche frammento particolarmente significativo degli anni trascorsi accanto a lui. Una volta raccontò che, pur dopo tanti anni, riusciva ancora a stupirsi di fronte alla profondità dei suoi pensieri e alla sua fede in certi valori. «Più leggo le cose che mio padre ha fatto e scritto fin da giovane e più mi convinco che sia stato spinto da una spiritualità e da una religiosità enorme. Il suo unico desiderio era quello di portare le idee cristiane nella politica. La ricerca di Dio e l’anelito verso il trascendente, ma anche l’assunzione di responsabilità verso il Paese e la faticosa esperienza di governo. Questi elementi fecero parte di un’unica cornice umana».
L’ultima volta che la vidi, poco prima dell’estate scorsa, smise all’improvviso di parlare e aprì un cassetto della sua scrivania, tirando fuori un vecchio libro al cui interno aveva raccolto alcuni foglietti appuntati che suo padre lasciava in mezzo alle sue carte. «Sono frasi, citazioni e preghiere che scrisse di getto in italiano e in latino su carta intestata della Presidenza del Consiglio o di qualche ministero. Sono richieste che faceva al Signore, supplicandolo di aiutarlo nei momenti difficili. Conservo questi fogli con cura da tanti anni, ma non mi sono mai decisa a pubblicarli - spiegò - perché ritengo che per essere compresi e valorizzati appieno dovrebbero essere accompagnati dal commento di un religioso».
L’intervista integrale su: www.dellaportaeditori.it