La sera dell’8 dicembre 1943, nella Roma occupata dai tedeschi, arrivava «colla scorta di un nostro "erculeo" fratello, un uomo di piccola statura, disfatto sì dalla fatica ma dal volto e dagli occhi inconfondibili...». Questo il ricordo di don Gaetano Piccinini, un sacerdote della congregazione di don Orione, allora direttore di un istituto scolastico nel quartiere Appio. Il documento di identità della persona recava il nome di Arrigo della Porta. In realtà si trattava di un noto scultore ebreo, Arrigo Minerbi, autore di numerose opere, (tra queste anche il sarcofago della madre di D’Annunzio) conosciuto nel mondo culturale italiano anche come autore della prima delle quattro porte minori del Duomo di Milano, avente come filo conduttore l’editto di Costantino e la diffusione del cristianesimo, alla quale stava lavorando dopo l’8 settembre. Minerbi però era ricercato dai tedeschi (un suo fratello era stato ucciso mentre cercava di riparare in Svizzera) ed era stato ospitato nella sua casa paterna di Gavazzana, un piccolo Comune a pochi chilometri da Tortona, dal primo successore di don Orione, don Sterpi, che lo aveva conosciuto quando lo scultore aveva realizzato il «don Orione morente» (ora nella cappella del Piccolo Cottolengo). Ma anche in questo centro il rischio di una cattura e della deportazione era un pericolo reale per Minerbi. Don Sterpi provvedeva «a farlo trapiantare in 24 ore a Roma», dove c’erano diverse case degli orionini. «Ma a Monteverde non rimase a lungo in quel rifugio. La prudenza imponeva una rotazione», avrebbe ancora ricordato don Piccinini, al quale quest’anno il governo di Israele ha tributato il riconoscimento di Giusto fra le nazioni per la sua opera a sostegno degli ebrei.Finita la guerra, Minerbi poteva, dopo 10 anni, riprendere il suo lavoro per la porta del Duomo. Sarebbe stata inaugurata e benedetta dal cardinale Ildefonso Schuster il 5 giugno 1948. Ma quella cerimonia liturgica e soprattutto l’accoglienza della Chiesa a lui ebreo aveva avviato nello scultore un percorso interiore di ricerca spirituale che lo stesso Minerbi avrebbe espresso nel dicembre 1958 in una lettera a don Giuseppe Zambarbieri, superiore generale della congregazione e che ora la rivista
Messaggi di don Orione pubblica nel suo ultimo numero. Scrive lo scultore: «La Grazia, a volte giunge fulminea, spinta da episodi, racconti ecc.: a volte è mossa da un soffio lieve che la fa giungere a ondate… Alla donna che mi sta a fianco, vigile a scrutare l’evento, ho detto tante volte non forziamo la mano. Essa verrà. E per un cumulo di eventi e di circostanze essa si annunciò con il rito del matrimonio religioso da me accolto… E il rito si è svolto in sant’Alessandro con tutte le dispense religiose necessarie…». Ma la lettera non fa riferimento esplicitamente al battesimo che lo avrebbe inserito a pieno titolo nella comunità cristiana. Minerbi anzi sembra quasi rifiutarlo. Scrive infatti a don Zambarbieri: «Lei giustamente mi fa ritornare in cuore il mio cardinale Ildefonso e l’episodio dell’inaugurazione della porta del Duomo. E ancora oggi la coscienza mi rimorde. Quando, al suo braccio, traversai tutta la chiesa, Egli, curvandosi su di me, mi sussurrò: "Venga da me, venga a trovarmi". Io tacqui, non annuii. Confesso anzi che l’invito così chiaramente espresso mi turbò. Compresi il chiaro significato che prima di quel momento nessun sacerdote mi aveva formulato… ripeto, ne restai turbato e tacqui. Intanto gli anni passavano. Quando il mio caro don Bressan mi chiese apertamente dei particolari, io che avevo la sensazione che nel matrimonio era implicito il battesimo, anche se non avvenuto con l’irrorazione dell’acqua, risposi tergiversando e il caro uomo si turbò alquanto…. Serbate il silenzio! La grazia verrà – viene lieve, leggera, aerea – ma certo con mezzo più sicuro». In realtà, l’inquietudine agostiniana di Minerbi si era conclusa. Lo scultore aveva già ricevuto il battesimo quando si era rivolto chiedendo discrezione e riserbo a don Zambarbieri. Lo scriverà nel 1960 proprio don Piccinini, che lo aveva ospitato a Roma, in una lettera a Giovanni XXIII nella quale gli annunciava che, in occasione delle Olimpiadi di Roma, si stava sistemando l’area che domina il Foro Italico con la collocazione della grande statua della Madonna realizzata con vecchi pezzi di rame raccolti a Roma e nel Lazio (una copia era stata inviata anche a Boston) proprio dallo scultore. «Questi si è spento lo scorso 9 maggio, baciando un crocefisso che appartenne a don Orione, mentre già tre anni prima aveva ricevuto il battesimo a conclusione della Missione predicatasi a Milano con tema "Dio è padre"».