venerdì 22 aprile 2011
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Al cinema il mio parroco ci è arrivato così, contro voglia, come ad altre imprese sus­sidiarie. La colpa principale è nell’aria del nostro mondo. Siamo troppo lenti a prendere contatto col bene che la Provvidenza ha na­scosto in molte scoperte moderne, che, subito, ci sbatacchiano in fac­cia la perversione comunicata loro dai primi occupanti. Poiché «i figli delle tenebre sono più ac­corti dei figli della luce» e più pronti. Noi dormiamo quieti. Ci sappiamo dalla parte del più forte e crediamo d’avere il diritto di dormire. Svegliando­ci, ci s’accorge che, nel frat­tempo, è venuto «l’uomo ne­mico a seminar zizzanie in mezzo al grano». Allora si pone mano alle deplorazioni, ai lamenti, alle condanne, ai propositi feroci. «Vuoi che l’andiamo a estirpare?». E sic­come nessuno si muove e il mon­do non si ferma per il nostro bron­tolare, ecco che qualcuno osa chie­dersi: «E se ci fosse modo di cavar qualche cosa di buono anche da codeste diavolerie moderne?». Tanto più che nell’altro campo c’è qualcuno che riconosce d’aver e­sagerato ed ha bisogno d’essere aiutato a far macchina indietro, poiché il male per il male son po­chi che lo vogliono.Dopo non so quanti sopralluoghi, arriva il bene­stare su una carta dove il mio par­roco figura come un tenitore di pubblico locale, obbligato quindi a rispondere come rispondono tutti gli esercenti, come risponde sol­tanto un prete, che ha l’obbligo di rispondere sempre a tutti. È nel destino di un parroco cinemato­grafaio. La cassetta non c’entra; c’entra la sua paternità, continua­mente esposta alle sorprese e alle ferite dello schermo. Non c’è nulla d’assolutamente buono all’infuori di Dio. Le cose degli uomini, anche quando sono buone, hanno lati pericolosi. »Dite a Giovanni ciò che avete veduto... E beato colui che non si scandalizzerà in me». Immaginarsi una cosa venuta su dalla strada, e da una strada non molto pulita, come il cinemato­grafo! Sarei un ingenuo o un insin­cero se vi dicessi che il mio cinema è proprio una cosa tranquillamen­te buona. È un minor male, di fronte a un male che cresce e in­nonda.Se aspettassimo ad acco­gliere in casa nostra le persone quando sono persone per bene, potremmo tenere sprangata la ca­nonica fino alla fine dei secoli. Le garanzie ci sono, ma sono così po­co sicure e variano secondo gli u­mori e i criteri di chi guarda. Quel­lo che è educativo per gli uni non lo è per gli altri; quello che è mora­le per me, un altro m’arriva a cata­logarlo tra le cose inguardabili. C’è un film che va bene per gli adulti, un altro che va bene soltanto in sa­la pubblica, un altro in sala parroc­chiale. Qualcuno pensa e dice: an­che il parroco si diverte — perché guardo anch’io verso quell’incan­tato telone che si anima di poesia, di passione e di umanità poco pu­lita e garbata. Alla sera di una gior­nata, che incomincia alle quattro, dopo aver parlato cinque o sei vol­te e corso di qua e di là, e veduto gente e pene, uno avrebbe il diritto di dire: basta, e di mettersi a sedere presso la finestra a guardar le stelle col cuore in pace. Invece si rico­mincia, e si ricomincia sul serio. Tutti si divertono. È bello veder la propria gente che si diverte: pove­ra gente, gente stanca, gente massacrata. Bisogna aver pietà di que­sta povera umanità affaticata! Il mio parroco, ora che lo spettacolo incomincia, è l’unico che non si di­verte. Nel suo angolo, sta col cuore sospeso. Per quanta precauzione uno ci abbia messo nello scegliere e nel revisionare, c’è sempre l’im­previsto: una scena, un particolare, una battuta stonata o volgare feri­scono dolorosamente la sua pater­nità spirituale.Certi film insipidi non si possono proiettare: gli altri hanno sempre qualche cosa d’au­dace anche quando son sani, qual­che cosa che scavalca certi schemi, che in alcuni vanno sempre più ir­rigidendosi, come se la realtà di o­gni giorno fosse molto diversa da quella che arriva allo schermo. Mentre i suoi figliuoli si divertono, egli è in ascolto con l’anima, in tutt’altro piano. Cinecittà, Hollywood sono, in questo momento, adiacenze parrocchiali, annesse spiritualmente alla sua cura. Isa Miranda, Musco, Greta Garbo, Ca­terina Hepburn, Powell, Chaplin, Fredric March, Marta Egghert, ec­cetera, suoi parrocchiani, di cui deve rispondere. E quando la pa­rola fine si staglia sullo schermo, e la sua gente sfolla rumorosa e sod­disfatta, lui comincia a tirare il fia­to. «Anche questa se n’è andata». Domani rice­verà il resto. I lamenti di qualche anima timo­rata; le critiche di qual­che collega vicino: un richiamo dalla Curia: l’accusa di concorren­za... E chiudo qui la partita, poiché nel cuo­re di un parroco, fattosi cinematografaio per dovere, vi sono amarez­ze che non si possono contare a tutti.
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