«Non esiste una questione ebraica: esiste una questione cristiana. Come mai non si capisce che la lotta è contro il cristianesimo? Se noi fossimo dei veri cristiani, ci metteremmo tutta la stella addosso». Lei, il simbolo della 'vergogna' del popolo eletto, se lo appuntò sulla propria carne, finendo i suoi giorni – la notte del Venerdì Santo del 1945 – nel lager di Ravensbrück. È prezioso recuperare la memoria dei grandi testimoni delle varie confessioni cristiane. Singolare è quella della monaca ortodossa Marija Skobcova (1891-1945), canonizzata dal Sinodo di Costantinopoli nel 2004, e rievocata nell’avvincente saggio di Emilia Bea
Marija Skobcova. L’esilio, la conversione, il lager nazista. Un’agile biografia che inquadra storicamente la vita di questa ex rivoluzionaria socialista russa (fu anche sindaco in un paese vicino a San Pietroburgo), poetessa atea, sposata e divorziata, convertitasi al cristianesimo ortodosso durante il suo esilio a Parigi dopo un soggiorno in Georgia e nei Balcani. La figura di madre Marija si intreccia con i più grandi esponenti 'occidentali' dell’ortodossia: «Padre Sergej Bulgakov è il mio padre spirituale, io gli devo tutto». Così parlava di uno dei grandi pensatori russo-cristiani attivi nella Parigi del primo Novecento. Olivier Clément, il teologo ortodosso francese scomparso a gennaio, curò la prefazione del suo volume più significativo,
Le Sacrement du frére: «Lei non predicava bensì amava» la lapidaria definizione che ne diede Clément. Marija era questa, una persona tutta dedita agli ultimi, monaca nel mondo, concretizzando quella missione che il metropolita Evlogij le affidò nel ’32 consacrandola suora: «Va’, parla e lavora nel deserto dei cuori umani». Marija fonda a Parigi una residenza per donne senza famiglia vicino agli Invalides, poi un centro di accoglienza più ampio, vincendo la ritrosia di quanti non comprendevano quell’arruffarsi di emarginati e vagabondi che le chiedevano una mano: «Di tanto in tanto sento che il Signore mi prende per la cottola e mi obbliga a fare quello che Lui vuole» fu la sua autodifesa. Come segretaria dell’Action Chrétienne des Étudiants Russes, Marjia assiste gli immigrati russi di Francia, poveri e apolidi, visto che il governo sovietico li aveva privati della cittadinanza. Nel 1935, per dare impulso a questa attività caritativa in chiave spirituale, dà avvio a un centro culturale, Action Orthodoxe: «Vogliamo opporre un principio personale e comunitario ad un principio individualista e collettivista. Il nostro punto di partenza è la comunione, la persona». Negli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale si dimostra acuta nella sua preveggente interpretazione dei tempi: «Nessuno si rende conto che il mondo sta bruciando. Nessuno si sta angosciando per il destino del mondo». Dopo l’occupazione tedesca, la sua casa di accoglienza in rue de Lourmel diventa un centro di nascondimento per membri della resistenza antinazista ed ebrei ricercati; riesce anche ad ottenere certificati falsi di battesimo per far fuggire intere famiglie ebree. E quando la Gestapo le rapisce il figlio come ostaggio, madre Marjia, all’ufficiale tedesco che le intima di non aiutare gli ebrei, domanda con un crocifisso in mano: «E questo ebreo qui, lo conosce?». Acuta e vibrante fu la sua riflessione sul destino di cristiani ed ebrei accomunati dal furore nazista di stampo paganizzante. Compose un dramma (ambientato in un commissariato della Gestapo a Parigi) intitolato Les soldats in cui dialogavano un vecchio ebreo e un giovane cristiano. «Per lei, la Chiesa di Gesù e quella dell’Antico Testamento camminano verso un’unione che si realizza nel nome dell’amore crocifisso» annota Emilia Bea. «Questo legame è forse l’avvenimento più prezioso e più significativo che si abbia oggi nel mondo. Si tratta di qualcosa mai visto, qualcosa che prima non sarebbe potuto essere, si tratta della chiesa cristiana del popolo israelita, del compiersi del tempo» scrive madre Marija. Una riflessione intellettuale e religiosa che la santa ortodossa pagò con la vita: a Ravensbrück – dove fu compagna di prigionia della nipote del generale De Gaulle – morì come detenuta numero 19263. Non prima di un ultimo atto di carità cristiana: decise di prendere il posto di una compagna condannata alla camera a gas come una 'novella' Massimiliano Kolbe. Questo gesto che le fruttò riconoscimenti 'bipartisan': nel 1985 il presidium del Soviet Supremo dell’Urss le concesse in memoriam l’onorificenza dell’Ordine nazionale della Guerra; nel 1997 fu proclamata Giusta delle nazioni dal Museo Yad Vashem di Gerusalemme.
Emilia Bea MARIJA SKOBCOVAL’esilio, la conversione, il lager nazista Effatà, Pagine 96, Euro 9