giovedì 16 luglio 2015
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«A Luisa, la nostra eterna Annina». La dedica di Daniel Barenboim, sotto la sua foto sul podio del teatro alla Scala, è appesa a una parete della camera. Di fronte la locandina della prima della Traviata diretta da Carlo Maria Giulini e andata in scena al Piermarini il 28 maggio 1955 con la regia di Luchino Visconti. Violetta era Maria Callas; Alfredo, Giuseppe Di Stefano; e Annina, Luisa Mandelli. Siamo all’ultimo piano di Casa Verdi, la residenza per musicisti in pensione voluta a Milano dal celebre compositore. E in questa stanza decorata di manifesti, ritratti e fotografie di scena vive l’“eterna Annina”, la soprano Luisa Mandelli. «Sa come mi sono presentata alle maschere quando ad aprile sono stata a salutare Barenboim nel suo camerino a Berlino? “Sono l’Annina della Callas”. E il maestro mi è venuto incontro dicendo: ”Ecco la mia amica...”».Ha 93 anni. E a dicembre tornerà a interpretare la serva di Violetta sul palcoscenico di un grande teatro internazionale: lo Staatsoper Unter den Linden di Berlino. Sarà di nuovo la cameriera della “sventurata” cortigiana, come accadeva ai tempi della Callas, nella Traviata che lo Staatsoper ha in calendario questo inverno. La bacchetta che la dirigerà sarà quella dell’amico Barenboim. Prova generale: il 16 dicembre. Prima: il 19 dicembre. Ed è già tutta esaurita. «Proprio il maestro mi ha voluto nel cast – racconta Mandelli –. Negli anni in cui è stato direttore musicale alla Scala abbiano intessuto un bellissimo rapporto. E più volte mi ha lanciato una proposta: “Devi fare Annina in una mia Traviata”. Io gli rispondevo: “Lei sa che ho più di 90 anni”». Sul sogno del maestro (e della signora Luisa) si alzerà il sipario fra qualche mese. L’annuncio è stato dato nella pagina Facebook di Casa Verdi anche se ancora devono essere definiti i dettagli con il teatro della capitale tedesca. Sopra il letto della camera la soprano ha lo spartito dell’aria Lungi dal caro bene di Giuseppe Sarti. «La mia voce ha dormito per anni. E ora mi sono rimessa a studiare per prepararmi alle recite di dicembre», sorride. Quasi tutti i giorni si esercita al pianoforte. «La parte di Annina non è lunga, ma va fatta come l’ho sempre fatta: con tutti i crismi. Non può essere piatta come spesso si sente oggi». È tagliente, la signora Luisa, quando analizza le rappresentazioni di questi anni che segue quasi ogni sera fra i loggionisti della Scala (e con alcuni viaggi all’estero). «Sono fiera di essere loggionista – chiarisce –. Ormai manca la materia prima: la voce. Anche i comprimari, come lo ero io, devono essere all’altezza dei protagonisti. Non lo capiscono i cantanti. E non se ne rendono conto i direttori d’orchestra o i responsabili dei teatri: senza grandi voci l’opera non si fa». Secondo lo stile inflessibile del loggione scaligero, l’“eterna Annina” ha contestato (e contesta) le produzioni che non le vanno a genio. «Capisco che non siamo più in un’epoca d’oro. Ma neppure possiamo accontentarci di mezze calzette o assurdi allestimenti che alcuni registi propongono». Quando accenna ai direttori preferiti, guarda prima di tutto al passato. «Sono stata legatissima a Giulini. Era una figura angelica. Poi Francesco Molinari Pradelli, Herbert von Karajan, Georges Prêtre che è il mio idolo. E oggi Barenboim. È uno straordinario pianista e sul podio adora i musicisti che anche io amo, a cominciare da Wagner».Di cantanti ne cita solo uno: Maria Callas. «Sono sicura che a Berlino la sentirò a fianco. È un nume tutelare perché era un’artista nel vero senso della parola: sentiva il personaggio e lo interpretava fino in fondo. La nostra Traviata è rimasta nella storia». E può essere sentita in un’incisione dal vivo della Emi. Oggi la signora Luisa è la custode milanese dell’eredità della Callas. A lei e alle ottomila firme raccolte con tenacia assieme a Valeria Pedemonte si deve Largo Maria Callas. E ogni anno fa celebrare una Messa in onore della “divina” il 16 settembre, nella ricorrenza della morte. «Ringrazio il Signore perché mi ha dato tanto nella vita, soprattutto la musica», ammette. Vicino al comodino ha un’immagine di papa Francesco, accanto ai volti di Chopin e Verdi. «Devo alle suore di Intra, piccola frazione del comune di Verbania, la mia passione per la musica. Frequentavo la loro scuola elementare e mi facevano cantare il Va’ pensiero o brani dal Guglielmo Tell». Così qualcuno consiglia ai genitori di farle studiare musica. «I miei erano contrari. “Una donna in giro per il mondo... no, no”». La spunta lei. «Facevo trenta chilometri in bicicletta per andare dalla mia insegnante di canto a Stresa». Il diploma al Conservatorio di Milano arriva nel 1947. E il debutto alla Scala nel 1953 con Rigoletto nei panni del paggio della duchessa. Sui palcoscenici sale fino al 1964 quando dà l’addio alle scene. Viene assunta dall’editore Ricordi dove «per venti anni sono rimasta felice in mezzo agli spartiti, anche nel negozio di Galleria Vittorio Emanuele a Milano», ricorda la soprano.Fra i corridoi di Casa Verdi la chiamano la «generale» per il suo piglio forte. E, quando arriva davanti alla tomba del genio di Busseto, in un angolo del giardino, sussurra: «O mio Peppin, come è difficile cantare». Anche a 93 anni, sotto i riflettori dell’Opera di Stato di Berlino.
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