«Quando ero ragazzo in Calabria mi dicevano che la mafia non c’era e che quella vera era a Roma. Poi me ne vado al Nord e anche lì mi dicono 'no, la mafia non è qui, ma a Roma'. Arrivo a Roma, c’è una procura che afferma che c’è la mafia, ma poi si dice: 'Ma quale mafia a Roma? Sono solo caciaroni, che parlano troppo al telefono'. Se non ci sono calabresi, siciliani o campani non esiste la mafia. Questo è il ragionamento che sembra essere stato fatto dai giudici romani nella recente assoluzione per mafia del clan Fasciani di Ostia. Se non hai un pedigree coi quattro quarti del Sud non puoi essere mafioso. C’è un problema di cultura dei giudici innanzitutto, e poi comincia a scattare anche a Roma il vecchio
refrain: 'Se parlate di mafia imbrattate il volto di questa città'. Ha un po’ il gusto rancido del passato. E può creare un cortocircuito». È la riflessione-allarme del
professor Enzo Ciconte, docente di Storia della criminalità organizzata all’Università RomaTre. Un ragionamento che parte dalla sentenza romana e da quella (di qualche giorno fa) della Cassazione sulla 'operazione crimine' della procura di Reggio Calabria che ha riconosciuto definitivamente l’unitarietà della ’ndrangheta. «L’immagine della ’ndrangheta prima qual era? Un po’ rozza, selvaggia, folkloristica. Non poteva avere una struttura unitaria. Invece ce l’ha. Ci sono giudici che hanno compreso la sua evoluzione e la portata storica della capacità di mettere insieme questa struttura di vertice. Questa volta il Sud tanto bistrattato è molto più avanti del Nord».
Perché è così importante il riconoscimento dell’unitarietà? «Ognuno di noi ha scritto che erano la famiglie di peso che governavano, dai De Stefano ai Piromalli e ai Mammoliti, poi però quando la ’ndrangheta diventa una cosa molto più importante e si trasferisce in tutte le regioni del Nord e all’estero, cominciano ad avere il problema di come governare questa galassia, un problema che non ha mai avuto 'cosa nostra'».
Come mai? «Cosa nostra doveva governare Palermo e la Sicilia. Non aveva 'filiali' all’estero o al Nord. Aveva famiglie, non insediamenti stabili come quelli della ’ndrangheta. Nella ’ndrangheta il discorso è diverso: comanda Reggio e tutte le formazioni sparse nel mondo dipendono da Reggio. Proprio grazie a 'crimine' vediamo un personaggio che da una città di 300 mila abitanti in Australia viene a Siderno, parla col 'capo crimine' e chiede ordini».
Mafia a Roma, ma anche 'mafia Capitale'... «È stata un’intuizione, ardita ma felice, della procura che dice: c’è il metodo mafioso, e quindi c’è un’associazione mafiosa. Qual è la novità? Che questa associazione è capeggiata da personaggi come Carminati e Buzzi, uno che viene dal mondo dell’estremismo politico, l’altro con la capacità di condizionare politici e apparati amministrativi, utilizzando le cooperative. Sono personaggi che guidano un’organizzazione mafio- sa dentro la quale non ci sono uomini del Sud».
L’assoluzione per mafia dei Fasciani potrebbe essere un campanello d’allarme anche per 'mafia Capitale'? «Vedo un pericolo. La voglio dire in modo brutale: tu non puoi fare lo ’ndranghetista perché non sei calabrese, puoi essere 'pungiuto', ritualmente affiliato, solo se sei calabrese. Ma non è detto che se non sei calabrese non puoi fare un’organizzazione mafiosa. La puoi fare. Se non accetti questa idea hai un ritardo culturale anche perché questo problema è stato già affrontato nel passato. Con la mafia del Brenta che cosa si è accertato? Che lì c’era un’associazione di stampo mafioso guidata da un veneto, Felice Maniero, e formata da veneti».
Il Sud sta prendendo coscienza rispetto a un Centro-nord in ritardo? «È proprio così. Perché non hanno gli occhiali giusti. Io vorrei invitare ogni 21 marzo, in occasione della Giornata della memoria promossa da Libera, ad ascoltare i nomi delle vittime innocenti delle mafie. Il 98 per cento sono meridionali. Cosa significa questo? Che le mafie sono state un prodotto del Sud, e su questo non si discute, ma anche che chi le ha combattute veramente sono stati i meridionali. Al Nord sono riusciti negli ultimi anni a comprendere bene la realtà e oggi tutti i processi sostanzialmente riconoscono quando c’è la presenza della ’ndrangheta. Il fatto di Roma è preoccupante anche perché stanno avvenendo fatti inquietanti che devono far riflettere tutti».
Quali? «Io non dimentico il funerale dei Casamonica. E soprattutto non dimentico che hanno anche rapporti con la politica. Hanno tutte le caratteristiche per essere un’organizzazione mafiosa, non solo quelle della violenza e del metodo mafioso, ma anche dei rapporti col mondo della politica e il controllo del territorio».
Poi ci si sveglia. Come per Tor Bella Monaca… «Parlare di droga fa un po’ di folklore, ma parlare degli interessi economici che ci sono intorno a Tor Bella Monaca e non solo lì, è una cosa diversa. Significa scavare nella vita delle persone, negli interessi veri, reali».