domenica 1 agosto 2010
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Sembra una sfida impossibile il mestiere scelto da Barthelemy Formentelli. Costruire organi. Corre un brivido quando vedi quei castelli del suono alzarsi per metri e ne senti la voce uscire dal ventre. Se poi pensi che Formentelli li realizza come si faceva secoli fa, tremano i polsi. «Devo tutto al mio parroco, padre Marcel Thomas, poi maestro di cappella della Cattedrale di Meaux» racconta Formentelli, «un uomo di grande cultura. Mi ha fatto innamorare dello strumento. Avevo 14 anni quando decisi di diventare organaro».Nato nel 1939 a Courquetain, non lontano da Parigi, Formentelli vanta nonni paterni della Valcamonica e da parte di madre una discendenza diretta da François Couperin. Doppie radici di cui va fiero: «I camuni sono grandi lavoratori. La mia è una cultura mediterranea, francese e italiana». A Parigi entra nell’atelier di Gonzalez, il primo a riproporre in Francia organi di estetica neoclassica dopo l’epopea romantica di Cavaillé-Coll. «Vi rimasi sette anni. Ho imparato il mestiere dai vecchi della Belle Epoque. Mi chiamavano "l’italiano". Quando Gonzalez morì, l’atelier cedette alle lusinghe del mercato. Me ne andai così in Svizzera da Hartmann, l’ultimo possessore dell’antica arte du facteur d’orgue».Il recupero di questa sapienza perduta è per Formentelli una vera e propria missione. Fin da quando nel 1964 scende in Italia a bordo di una motocicletta con un paio di casse di attrezzi e nient’altro e impianta la sua bottega tra i vigneti della Valpollicella, nel veronese, dove Barthelemy diventa Bartolomeo. «Avevo sempre sognato l’Italia. Le maestranze migliori sono qui. Gli italiani hanno il talento dell’asimmetria, la capacità di intuire che la perfezione sta nell’irregolarità». In Valpollicella si dedica a un tipo di organaria antitetica a quella industriale, allora in voga. Non cede alle lusinghe dell’elettrificazione né rende seriale la costruzione delle canne, pratica che omologa il suono. Per molti è una pazzia, anche economica. Per Formentelli è il solo modo per salvare l’organo. Nel laboratorio lavora testardamente secondo i dettami dei grandi trattati enciclopedici del ’700 francese, in particolare L’art du facteur d’orgue di Dom Bedos des Celles, una vera e propria Bibbia dell’organaria. Ogni suo strumento è rigorosamente meccanico. Centinaia di metri di catenacciature in ferro forgiate a mano si diramano dalle tastiere ai somieri, dove si innalzano migliaia di canne di stagno fuse e battute a martello una ad una. Il risultato, un tocco e un suono inconfondibili.«Non faccio organi per venderli ma per fare una cosa bella». In casa non ci sono tv, né radio né pc. «Dopo la Rivoluzione francese la ragione si è dichiarata vincitrice sulla natura e la tecnica è diventata un nuovo dio. Il passo alla schiavitù del consumismo è stato breve. La cultura classica esalta invece la bontà della natura. Col suono dei miei organi voglio riportarvi l’uomo».In 45 anni Formentelli tra Francia e Italia ha costruito 80 nuovi strumenti (sia in stile italiano che francese, tra gli altri a Rovereto, Grenoble e Lourdes, fino al grande organo del Giubileo in Santa Maria degli Angeli a Roma) e ne ha restaurati 170 (come quello della cattedrale di Albi, il Luca Blasi di San Giovanni Laterano e quello idraulico al Quirinale). «Ogni mio organo è rigorosamente su misura dell’ambiente destinato a ospitarlo. Non c’è schema o particolare che ritorni». Gli elementi sono tutti realizzati a mano in un laboratorio unico in Europa, in cui lavorano una quindicina di operai con gli utensili e le tecniche di Dom Bedos. «Il mondo antico non era fatto a misura ma a proporzione. La formazione della manodopera è essenziale». Così come la cura estrema per i materiali: «Costruire organi è come l’arte culinaria. Tutto dipende dalla materia prima e dal dettaglio. L’ottone, ad esempio. Acquisto il materiale grezzo, lo fondo e lo lavoro personalmente. Solo così posso realizzare le ance in ottone damascato, tecnica che prevede migliaia di piegature e battiture. Il suono che ottengo è unico».Nel cortile tra i laboratori (falegnameria, fonderia, decorazione) Formentelli passeggia come un filosofo: «Dice Dom Bedos che "un organaro è tanto abile quanto più ha un gusto deciso per l’armonia strumentale», ovvero l’intonazione dell’organo, l’elemento capitale di uno strumento. Il goût décidé è la personalità dell’organaro. È un talento naturale, ma da solo non basta, deve essere sottoposto al perfezionamento dell’arte. Nel restauro diventa una vera sfida, perché si deve recuperare un gusto altrui». Le parole sono scelte con cura meticolosa, come farebbe un classico. «Scriva però che mi vanto di essere privo di qualsiasi diploma – dice – E non sono complessato. Ho studiato da solo, dai greci al ’900, di notte dopo il lavoro».
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