E se Machiavelli fosse meno "machiavellico" di quanto si pensa? Al suo nome viene fatta risalire la concezione moderna della politica, nei suoi aspetti positivi ma soprattutto in quelli negativi; il suo
Principe è diventato nell’immaginario collettivo un esempio di cinismo e di subordinazione di ogni principio morale alle esigenze della conquista e della conservazione del potere. «È una visione che io contesto», afferma il filosofo
Sergio Givone. «Machiavelli - dice - ha piuttosto una visione tragica del potere. Nelle sue opere descrive la violenza che il potere usa a volte per affermare se stesso: ma questo uso non nega che quella violenza rimanga un male. Il
Principe non definisce il primato della politica sull’etica e sulla religione: il male per Machiavelli resta tale, anche quando è compiuto per fini politici. E se la politica disattende i principi etici, non per questo li cancella ed è chiamata sempre a farsi carico delle proprie azioni». Givone (che è anche assessore alla cultura del Comune di Firenze) sarà uno dei relatori al convegno che il Cortile dei Gentili dedica, a Firenze, ai cinquecento anni de
Il Principe, l’opera che, se non ha dato a Machiavelli né fama né fortuna in vita, nel corso dei secoli lo ha reso uno dei pensatori italiani più letti e conosciuti nel mondo. Al convegno fiorentino porterà il suo saluto anche il cardinale
Giuseppe Betori: l’arcivescovo di Firenze sottolinea il contesto storico di grande incertezza (di "crisi politica" si direbbe oggi) in cui Machiavelli scrive il suo trattato. «Il problema cui
Il Principe intende rispondere - afferma Betori - è proprio quello di individuare una forma politica capace di avere in sé l’energia - quella che Machiavelli chiama "virtù" - capace di agire efficacemente in un mondo che sta diventando, per Firenze e per l’Italia, sempre più insicuro. Lui vede nel principe colui che è in grado di salvare il vivere civile e fa del principe un servitore della politica; non una persona privata che voglia soddisfare i propri appetiti, ma una persona pubblica, consapevole delle regole e della necessità della politica». Parole che richiamano quelle di
Valdo Spini, presidente del Comitato per le celebrazioni del cinquecentenario. «Oggi - afferma Spini - c’è grande bisogno di un potere politico democratico che sappia riaffermare il suo controllo sui fenomeni i crisi che scuotono le nostre società». Secondo Spini, l’esempio di Machiavelli è quello di «un uomo di grandi passioni civili, capace di intendere il servizio alla cosa pubblica nel senso nobile che è così facile smarrire».Il convegno di Firenze incentrerà la sua attenzione su un aspetto particolare del pensiero di Machiavelli: il rapporto tra religione e potere. «Un tema estremamente attuale», commenta
Lorenzo Ornaghi, ordinario di Scienza della politica all’Università Cattolica di Milano. Machiavelli, spiega Ornaghi, «da sempre è ritenuto la fonte, o almeno l’emblema più significativo di come il rapporto tra religione e potere si è configurato nei secoli successivi, lungo l’età moderna e l’epoca della secolarizzazione. Secondo queste interpretazioni è Machiavelli che per primo o più di altri definisce l’autonomia della politica da ogni altro criterio che non sia politico, e quindi anche dall’etica e dalla religione». Ma se mettiamo Machiavelli all’inizio di questo percorso di secolarizzazione, conclude Ornaghi, «oggi dobbiamo renderci conto che siamo nell’età della tarda secolarizzazione, e che molto spesso rischiamo di restare prigionieri dei tanti, troppi relativismi che la secolarizzazione produce».A dare lo spunto alla riflessione sarà la frase scolpita sul marmo che, dai tempi di Machiavelli, campeggia sull’ingresso di Palazzo Vecchio sotto il monogramma di Cristo: «Rex Regum et Dominus Dominantium», Re dei Re e Signore dei Signori. Un’iscrizione voluta dai Medici a sostituire quella precedente, ispirata dal Savonarola che suonava: «Gesù Cristo, re del popolo fiorentino». Da una parte quindi la visione della repubblica savonaroliana di Gesù come unico sovrano a cui nessuna autorità terrena può sostituirsi; dall’altra la Signoria che vede in Cristo colui che legittima il potere costituito. «In questa divergenza si inserisce l’opera di Machiavelli», sottolinea don
Alfredo Jacopozzi, direttore dell’Ufficio cultura della diocesi di Firenze e organizzatore del convegno di mercoledì prossimo. «Machiavelli - afferma - è stato severamente critico nei confronti della Chiesa del suo tempo. Ma non era contrario alla religione e nell’altra sua grande opera, i
Discorsi, scrive che la mancanza di religione provoca inconvenienti e disordini: "dove è religione si presuppone ogni bene, dove quella manca, si presuppone il contrario". La novità del suo pensiero allora è un’altra: chiedere alla religione di infondere amore per il bene comune, in modo che i buoni credenti siano anche buoni cittadini».