Milano, Piazza Fontana, 1943 - © Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo
«Molto si è distrutto, ma noi tutto ricostruiremo con pazienza e con la più fiduciosa volontà». Alla fine dell’estate del 1943 Milano era irriconoscibile. Macerie ovunque, i luoghi simbolo colpiti e distrutti. Antonio Greppi, primo sindaco dopo la Liberazione, però non si scoraggia. E di fronte a quelle pietre cadute dà la carica di speranza e di fiducia ai suoi concittadini: «Ricomincia la storia degli uomini che credono soltanto nelle proprie virtù e nelle proprie opere e che considerano la libertà come la continuazione non prescindibile dell’adempimento consapevole dei propri doveri». Così Milano si è risollevata dalla guerra e ha curato le profonde ferite architettoniche lasciate da quei bombardamenti. Alle Gallerie d’Italia – Piazza Scala, il museo milanese di Intesa Sanpaolo, fino al 22 novembre si può ripercorrere quella pagina di storia con la mostra “Ma noi ricostruiremo. La Milano bombardata del 1943 nell'Archivio Publifoto - Intesa Sanpaolo” (primo appuntamento di un progetto di "viaggio" nell'archivio che intende aprire il patrimonio fotografico di oltre sette milioni di foto alla disponibilità del pubblico).
Milano, Piazza del Duomo, 1943 - © Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo
Tra le migliaia di fotografie di quel periodo, Mario Calabresi, curatore della mostra, ha selezionato 70 immagini di undici luoghi simbolo della città – dal Cenacolo alla Galleria Vittorio Emanuele, da Sant’Ambrogio a Brera, dall’Università Statale alla Cattolica e a piazza Fontana – devastati dagli attacchi aerei. «Fu il momento più difficile della sua storia – scrive Calabresi - : svuotata dalla guerra e dall’esodo verso le campagne, la città rimase più volte senza acqua, luce, gas e trasporti. Ma Milano non si arrese». Il risultato è nella ricostruzione. Testimoniata dalle immagini del presente, scattate durante il lockdown della primavera, da Daniele Ratti, che mostrano però il vuoto di una città in piedi, ma deserta. Il passato che parla con il presente. Il bianco e nero con il colore. La speranza di allora con le paure di oggi. Immagini che possono «essere cruciali – riprende Calabresi – per riscoprire l’orgoglio che ha portato alla rinascita e possono essere lo stimolo per credere che anche oggi la città può e deve ripartire», dopo l’inattesa e nuova prova della pandemia che l’ha nuovamente «svuotata, resa fragile e silenziosa».
Arricchisce il percorso espositivo il contributo di Umberto Gentiloni, storico e accademico dell’Università La Sapienza di Roma, sulla strategia decisa dagli Alleati di colpire il Paese per abbattere definitivamente il Fascismo nell’agosto 1943, pochi giorni dopo la caduta di Mussolini: «Il bilancio è impietoso – annota Gentiloni -. Una tempesta di fuoco che lascia il segno. Gli scatti di allora e frammenti di memorie, raccontano la violenza della guerra e la fine di ogni possibile distinzione tra militari e civili, mobilitati e non, chi è al fronte e chi è rimasto nella quotidianità della vita di ogni giorno. La guerra rompe ogni argine fino a coinvolgere popolazioni civili e intere comunità. L’alba di Milano alla metà di agosto 1943 è difficile, la fine della guerra ancora lontana».
Una grande mappa mostra a pavimento i luoghi più colpiti. Alle pareti le immagini. Il Manzoni di Piazza San Fedele, accoglie il visitatore, come muto testimone della distruzione. E poi della rinascita. La sua “promessa” che ci accompagna ancora oggi, in una Milano messa di nuovo alla prova.