Quando scompare un personaggio che la notorietà ha reso familiare, tutti si sentono un po’ più soli. E sta accadendo per la improvvisa notizia della morte di Mike Bongiorno, appena visto sul piccolo schermo in un suo ironico spot pubblicitario con Fiorello, e poco fa nel taxi- quiz di SkyUno e nelle interviste nelle quali parlava entusiasta del «suo» Riskytutto che stava per avviarsi… Il lavoro, appunto. Perché nelle tante conferenze stampa e presentazioni nelle quali Buongiorno incontrava i giornalisti emergeva immediato il suo amore per il «lavoro», per quanto stava via via intraprendendo nella sua lunga carriera televisiva: aveva un carattere spinoso, questo sì, non perdeva tempo e non accettava che lo si perdesse, ma aveva anche, e lo dimostrava, un grande rispetto per quello che stava proponendo e facendo, un rispetto per il lavoro che forse ora non è più di moda, in un’epoca in cui la parola chiave è «evasione », ma che Mike sapeva applicare anche allo sport e al divertimento. Era, a parte gli scatti di insofferenza con i quali dimostrava la sua vitalità e il suo entusiasmo, uno che al lavoro ci credeva davvero, e non ha mai sognato la pensione come rifugio. Il suo rifugio era l’energia con la quale, malgrado gli anni, progettava e studiava per la tv che era il suo mondo. Il rimpianto per un distacco brusco da Mediaset, del quale si era lamentato con spontaneità disarmante, era anche una dichiarazione di impegno che non è mai venuta meno: perché i suoi quiz, con quali ha svegliato un’Italia sonnolenta, erano affermazioni sincere di stima per una cultura non da sbandierare come vanto, ma da acquisire a da partecipare come ricchezza vera. Forse una cultura- erudizione, in qualche misura: ma una cultura fatta di studio e di applicazione e di personale passione, fosse per la musica o la gastronomia o le più varie specialità. Da non confondere, insomma, con le trappole a premi attuali con le quali si esalta la fortuna come casualità da corteggiare attraverso esibizioni-lotteria spesso imbarazzanti. Ha fatto onore allo studio e al sapere rispettandolo con personale apprezzamento, proponen- dosi con una modestia che favoriva le sue tanto citate « gaffes » , espressione immediata di una spontaneità che conquistava senza sussiego e arrivava a tutti, con una familiarità semplice e diretta. Così che anche oggi, dopo mezzo secolo e più di attività, Buongiorno progettava e studiava il modo di restare insieme al suo pubblico, alla gente di ogni età e di ogni appartenenza che lo stimava e lo apprezzava comprendendo l’onestà del suo agire e la serietà che animava le sue proposte pur intese come «gioco». Ha lavorato con impegno, ha creduto in quello che faceva sicuro di fare cosa giusta: epitaffio forse banale, sull’onda dell’emozione repentina, che tanti suoi spettatori certamente condividono, al di là di soggettive valutazioni. E mentre salutiamo con commozione un vecchio signore dello schermo dallo spirito sempre giovane e il suo manifesto amore per la vita, ricordiamo la sua voce che si inteneriva, alla fine delle conferenze stampa, quando qualcuno gli chiedeva dei figli, che raccontava nelle varie tappe della loro crescita, felice delle loro conquiste: parlando dei quali gli brillavano gli occhi e gli si ammorbidiva il piglio brusco, con una tenerezza in cui si specchiava non più il professionista arrivato ma l’uomo, ricco di affetti sinceri coltivati con amore. Quello degli spettatori della tv è un mondo misterioso e vario, che invano i dati auditel cercano di decifrare. Ma certamente ieri, apprendendo dell’improvviso addio di «Mike», come tutti lo conoscevano, molti, moltissimi avranno rivolto al vecchio amico un saluto affettuoso e partecipe, venato già di nostalgia per quel tempo di semplicità intesa come ricchezza. E il suo celebre «Allegria!» sarà tornato alla mente di tanti, nell’ultimo intimo saluto, come coraggioso augurio di bene.