venerdì 28 ottobre 2011
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​«Usate la vostra libertà per promuovere la nostra». E Luc Besson ha seguito l’esortazione di Aung San Suu Kyi. Perché questo è The Lady, il toccante film che il regista francese ha dedicato al premio Nobel per la Pace 1991, e che ieri, nella commozione generale, ha felicemente inaugurato il Festival del Film di Roma: «Un atto d’amore verso la donna che per la libertà ha sacrificato tutto – come dice l’interprete Michelle Yeoh – E che per essa ancora lotta». Lo straordinario di questa pellicola, infatti, è che la storia che essa narra – i 15 anni di arresti domiciliari patiti dalla promotrice dei diritti umani che in Birmania tuttora s’impegna per l’avvento della democrazia – era ancora nel suo pieno. «Quando sono iniziate le riprese Suu era ancora segregata – spiega Besson – e noi stessi non abbiamo mai potuto incontrarla, né parlarle, nemmeno al telefono. Tanto che per "ricostruirne" la personalità abbiamo dovuto ricorrere a filmati di repertorio, e ai ricordi di persone che non la vedono da vent’anni». E proprio la Suu Kyi ha fatto pervenire ieri a Roma un suo messaggio: «Non si possono accantonare come obsoleti concetti quali verità, giustizia e solidarietà, quando questi sono spesso gli unici baluardi che si ergono contro la brutalità del potere». Al di là dei suoi meriti artistici, insomma, The Lady acquisisce quelli della testimonianza umana e civile: «L’abbiamo realizzato soprattutto per sostenere lei, la sua lotta e il suo popolo – conferma il regista – E per questo abbiamo cercato di farlo col massimo rispetto possibile verso la realtà». Fin nei più minuti dettagli: «Ho visionato centinaia di ore di filmati e centinaia di libri; ho imparato il birmano, sono dimagrita cinque chili – racconta la Yeoh (che a Suu conferisce grazia e sensibilità speciali) – E siccome molto di quel che sappiamo di lei lo vediamo dal suo sguardo, non dalle parole, ho cercato in quel volto le emozioni che poi dovevo ricostruire, pezzo per pezzo, come in un mosaico». Lo scrupolo realistico è arrivato al punto di replicare esattamente la casa della Suu Kyi a Rangoon, quella del marito (interpretato da Daniel Thewlis) ad Oxford, «e perfino la razza del loro cane, desunta da una foto». Il risultato è un tuffo nel dramma umano di una famiglia unita, che deve però accettare di dividersi in nome di un ideale che la trascende: «Questo non è un film politico – avverte infatti Besson – Era la sua dimensione umana e privata ad interessarmi soprattutto». E poi il coraggio di promuovere il genere di lotta più difficile che esista: quella non violenta. «Ecco l’aspetto più importante in assoluto di The Lady. La primavera araba dimostra quanto sangue possa scorrere nella conquista della democrazia. Ebbene: io non sono un esperto di storia, ma mi pare che se la lotta trentennale di Suu dovesse essere avere successo, se un  giorno lei dovesse diventare primo ministro o presidente, questa sarebbe la prova vivente che combattere senza violenza è possibile. Anche se la strada è più lunga e tortuosa, il nostro dovere è difendere proprio questo tipo di lotta». Ancora emozionata dall’esperienza vissuta, la Yeoh riflette: «Dopo aver visto The Lady, un ragazzo commentava: "Non conoscevo Suu. Ho sentito solo molte volte il suo nome al telegiornale. Ora mi sento quasi in colpa. E vorrei fare qualcosa per lei". Ecco: sono cose come queste a dare senso al nostro film».
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