Una sequenza dal docufilm “Lourdes” dei registi Demaizière e Teurlai - .
Ci sono film che nel loro titolo racchiudono già la storia che lo spettatore vedrà. Si può essere colpiti dalla locandina, dai personaggi, dalla promessa del racconto. E questo, quindi, potrebbe capitare anche per un lungometraggio che si intitola semplicemente Lourdes: il posto richiama una storia di fede, un luogo di pellegrinaggio, un crocevia di razze e di malati. E quando vedi Lourdes, diretto da Thierry Demaizière e AlbanTeurlai e portato in sala dal 24 al 26 febbraio da 102 Distribuition, con la collaborazione di Acec, la visione cambia. Per chi ha fede nelle apparizioni della Madonna e nei settanta miracoli riconosciuti dalla Chiesa, Lourdes è un documentario da non perdere. Ma non solo. Lo è anche per chi, invece, teme una storia apologetica, riverente e diametralmente opposta all’omonimo film di finzione diretto da Jessica Hausner, dalla visione decisamente laicista. Perché Lourdes è, come scrivono gli stessi registi, «un film sulla condizione umana, sulla fede, sulla speranza e sull’amore». Thierry Demaizière e Alban Teurlai hanno trascorso un anno nella cittadina francese, dove nel 1858 la Madonna apparve, in una grotta, a Bernadette Soubirous. Erano incuriositi dall’umanità poliedrica che abitava quel posto.
L’idea era nata dall’incontro con Sixtine Léon-Dufour, poco dopo un viaggio a Lourdes fatto insieme al marito. «Esitavano a raccontarcelo – spiega Thierry Demaizière – per paura del nostro giudizio». Dopo poco i registi si sono recati a Lourdes, hanno seguito dieci pellegrinaggi e girato ben duecentocinquanta ore. E alla fine non erano solo incuriositi. Lo si vede dal modo in cui hanno raccontato malati neurologici gravi, disabili inguaribili, uomini che hanno tentato il suicidio rendendosi invalidi, prostitute e gitani. Il film inizia proprio così con la storia di un uomo, ormai maturo negli anni, che ha abbandonato la famiglia in età adolescenziale e ancora ora riesce ancora a comprendere chi sia. Dentro casa è un uomo, fuori è una transessuale che vorrebbe smettere di prostituire il suo corpo, ma non ha la forza di farlo. Eppure sa che ha bisogno di altro nella vita e il suo rifugio è nella preghiera e nello sguardo delle persone che hanno dedicato tempo e vita a quel santuario ( terzo luogo cristiano al mondo per numero di pellegrini all’anno, dopo le basiliche di San Pietro a Roma e di Nostra Signora di Guadalupe in Messico).
L’umanità di Lourdes sembra davvero l’umanità racchiusa nei Vangeli. Storpi, ciechi, zoppi, si ritrovano a sfiorare quella grotta, levigata negli anni dalle mani giovani e meno giovani, il cui colore ricorda la grandezza e l’immensità racchiusa nel mondo. Ma quello che più colpisce in Lourdes, non è tanto la folla che prega silenziosa e partecipa raccolta alle celebrazioni, o la via Crucis composta da volontari e infermieri che, sulle spalle, conducono i letti contenenti i malati lungo le strade. Quello che commuove profondamente è la grande fede che ogni donna e ogni uomo, malato o infermiere, sacerdote o giovane volontario, restituisce. Una fede non remissiva o semplicemente oblativa. Una fede anche piena di rabbia, paura, dolore. Come quella di una madre che cura, dopo un grave incidente stradale, suo figlio quarantenne con la stessa premura che avrebbe una madre nei confronti di un bambino incapace di gestire le più semplici azioni quotidiane. La sua è una preghiera mesta, non ricattatoria, piegata, forse dopo anni, al desiderio di una donna che non prega più per la guarigione del figlio, ma per essere la madre che risponde alla propria vocazione di madre. Una preghiera silenziosa, quasi sempre ascoltata attraverso una voce fuoricampo, che si nutre di lacrime quando sfiora le esistenze dei bambini ormai costretti alle cure palliative o di quelle ragazze, vittime di bullismo a causa di disfunzioni corporee.
«Lourdes è un luogo – spiegano i registi – dove si possono mettere da parte le proprie convinzioni private per individuare un “qualcosa” di straordinario. Si può definire un crogiolo di umanità dove accade “qualcosa” di eccezionale sulla condizione umana, “qualcosa” che supera persino la fede e che ci porta ad interrogarci sul nostro rapporto con la sofferenza e la morte». «In Francia molte persone – spiega la stessa Sixtine Léon-Dufour che firma anche la sceneggiatura – pensano che Lourdes sia un luogo di pellegrinaggio frequentato solo dai cattolici. Noi, invece, volevamo mostrare che non è semplicemente così. Volevamo che il centro del racconto fossero i pellegrini, di qualsiasi fede e natura, che decidono di recarsi alla grotta per poter abbandonare le proprie sofferenze ai piedi della Vergine. Girando il film volevamo provare a rendere palpabile la trascendenza e la speranza che albergano in questo luogo». Una speranza che si nutre di una devozione semplice anche nel popolo degli stessi gitani. Riuniti in un cerchio, gli uomini (non si vedono donne in giro per le roulotte) spiegano cosa li abbia convinti a sostare lì vicino alla grotta.
«La gente ci guarda dall’alto in basso. Ma qui a Lourdes, dove ricchi e poveri sono fianco a fianco, sento Maria che ci conforta. Come una madre conforta i suoi bambini. Ecco per che cosa sono venuto: per essere consolato dalla Beata Vergine. Tutti gli uomini hanno bisogno di una madre. Maria diventa la nostra madre». La loro testimonianza è ancora più forte, forse perché raramente in un lungometraggio si riesce a mostrare, senza cadere nella retorica, la genuina fede maschile. «Le comunità più difficili da raggiungere – spiega la sceneggiatrice – sono state quelle delle prostitute e dei gitani, gruppi in cui non è facile accedere soprattutto con una telecamera. Per poterlo fare bisogna conquistare la loro fiducia. La stessa che abbiamo ottenuto, forse con più facilità, da tutti i protagonisti del lungometraggio». Scorrono le storie, il dramma si tinge di leggerezza la sera prima della partenza di tutti, e tutto in Lourdes, forte di un montaggio di grande qualità, acquista spessore e profondità: la pietà diventa vigore, il sacrificio diventa sopportabile, il sorriso si fa strada e si esce dalla visione con il cuore colmo di bellezza e speranza.