Parla di Cagliari come di una città “vitale”. E, quando allo stilista sardo Antonio Marras si chiede di raccontare il capoluogo della Sardegna, lui aggiunge subito: “Ha un nucleo antico e la modernità di una città di approdo e un miscuglio di razze e tradizioni. E’ la porta del Mediterraneo e incontro di scambi culturali eterogenei. E’ la nostra Alessandria d’Egitto”. Considerato «il più francese degli stilisti italiani», anche se le sue radici sono sarde, Marras è stato per otto anni direttore artistico della maison Kenzo e nel 2007 ha lanciato la linea giovane I’m isola Marras che si aggiunge a quella che porta il suo nome. Lo stilista ha scelto di non lasciare l’isola dove continua a vivere in una casa-laboratorio su una collina che sovrasta il mare.
Marras, Cagliari con la Sardegna è candidata a Capitale europea della cultura 2019. Che cosa può dare l’isola al vecchio continente? “La nostra epoca è connotata dal fattore tempo, dal senso dell’urgenza, dall’esigenza di organizzare e organizzarsi; dalla grande distribuzione supportata dalle tecnologie dell’informazione; dal diverso atteggiamento dei consumatori, più sensibili e attenti; dall’incertezza della domanda che richiede maggior flessibilità operativa; dall’attenzione all’ambiente; dalla globalizzazione che ha allargato l’orizzonte d’azione di molte imprese che devono fare i conti con mercati più ampi e concorrenti un tempo molto distanti. In tale situazione è importante che un paese metta in atto strategie precise per valorizzare le sue risorse e il suo patrimonio artistico e culturale. E Cagliari è la città per antonomasia che può rappresentare tutto questo”.
Come racconterebbe la Sardegna a un collega o un amico del Nord Europa? “La Sardegna è metafora del mondo, anzi il mondo. Influenze diverse ci fanno essere quelli che siamo, nella lingua, nei pensieri e nel vestire. Tutto, nel vestire tradizionale sardo, parla, comunica; gli abiti esprimono la dimensione sociale, le memorie, i valori delle persone che li indossano. I decori sono carichi di significati simbolici: gli amuleti, gli intarsi di tessuti preziosi e poveri danno vita a soluzioni, in cui convivono storia e contemporaneità. Una Sardegna fatta di oscure chiarezze, di taciti tumulti, di solitarie moltitudini, di ossimori in cui ognuno può rivedere se stesso”.
Anche se il suo lavoro la porta lontano lei vive ad Alghero. Perché ha scelto di restare? “Gran parte della mia vita e della mia attività si svolge in una piccola e grande isola e in una piccola e grande città di mare, Alghero, dove sono nato e cresciuto. Un’antica fortezza a forma di città, che conserva ancora il passato di città catalana, unica in Sardegna e in Italia. Alghero ha un fascino misterioso che nasce proprio dal miscuglio. Oggi è una realtà composita, viva, che vuol difendere la sua storia, la sua lingua, la sua cultura, il suo territorio. Nello stesso tempo si apre al nuovo, al diverso, allo straniero. Vivere in un centro piccolo come Alghero, così ‘fuori dal mondo’, ha un valore aggiunto. Nascere ai confini dell’impero spinge a dialogare, comunicare, vedere, cercare quello che c’è altrove. Un po’ come la siepe che impedisce, ostacola, chiude la vista ma nello stesso tempo muove lo sguardo ad andare oltre, apre all’infinito. Insomma è dalla mancanza, dal limite che nasce il desiderio, nasce il sogno che invita a superare barriere e difficoltà. Dalla Sardegna, da Alghero, guardo attorno e rifletto. Credo sia veramente contemporaneo chi non coincide perfettamente con il proprio tempo. Chi non si adegua alle sue regole e perciò è inattuale. Però, più degli altri, percepisce e afferra il suo tempo. Vede da una distanza prospettica che permette di stare nel mondo e allo stesso tempo di osservarlo e studiarlo. Tanti hanno lasciato il loro paese e si sono trasferiti in altre città. Vivere in un luogo diverso da quello natale diventa un punto di riferimento distaccato per giudicare la propria terra e farla vivere. Io continuo a stare in Sardegna dove vivo e lavoro, ma spesso sono lontano e i punti di vista si moltiplicano”.
Come la Sardegna ispira ed entra nelle sue creazioni col bagaglio immateriale di saperi e tradizioni ma anche di materiali? “La Sardegna ha un ruolo determinante nella mia vita, nel mio lavoro. E’ una terra in cui mi sento profondamente radicato e che riserva tante sorprese. Considero un privilegio l’essere nato in quest’isola. E’ stata nei secoli teatro e crocevia di incontri e di scontri. E’ una delle aree più stratificate del Mediterraneo. Qui sono arrivati Fenici, Punici, Greci, Bizantini, Arabi, Catalani. E tutti hanno voluto lasciare tracce. Un’isola fin dall’antichità celebrata ed esaltata, amata e odiata, cercata, violata, tradita. “Isola” significa “nel mare” e il mare per me è movimento continuo, agitarsi di onde, andare, venire. Il mare è libertà, non “isola” affatto la terra che circonda, anzi invita al viaggio. Per questo chi nasce in un’isola sente il bisogno di partire e poi tornare. La voglia di andare restando. E difendere la sua identità. Le radici della Sardegna e della sarditudine sono da ricercare nella stratificazione e mescolanza di diverse culture che fanno della nostra isola una realtà carica di contraddizioni; un’isola non risolta né felice, né piegata e sconfitta, sofferta e combattiva, attratta dalla modernità. Un’identità “a brandelli”, “a stracci e toppe”. Come nel mio lavoro. La realtà sarda è viva e originale, punto di partenza o di arrivo di ogni mia ricerca. Spesso le sollecitazioni e i riferimenti partono da mondi lontani, da culture diametralmente opposte, ma poi inevitabilmente riconducono a forme conosciute, familiari. L’identità che viene alla luce da ogni frammento dei miei capi è frutto di un processo per me assolutamente inconsapevole. Dettato da impulsi irrazionali più che mosso dalla ragione. Evidentemente porto dentro di me tracce, trame, ricordi, memorie di popoli che vogliono prepotentemente ancora vivere, un substrato a cui inconsciamente attingo. I punti di forza del mio lavoro sono miei e propri di tanta tradizione sarda e mediterranea”.
La Sardegna è terra segnata oggi da una forte disoccupazione e dalla “fuga” dei giovani verso il continente. Come la cultura può essere volano di sviluppo per l’isola? “Difficile dare una risposta soprattutto oggi e soprattutto in Sardegna, pensando a migliaia di giovani in cerca di occupazione e a migliaia di meno giovani che rischiano di perdere o hanno perso il loro lavoro. Si dice spesso che il lavoro bisogna inventarselo, bisogna crearlo da sé, ma non è facile senza un aiuto concreto. E così spesso si è costretti ad emigrare invece che realizzare idee e capacità nel proprio territorio. Credo che il futuro della Sardegna sia legato all’artigianato e all’industria turistica oltre che alla valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale e artistico della nostra isola. Sono tra i pochi che hanno resistito e resistono alla tentazione di andar via. E neanche per me è stato facile restare. Il mio lavoro è la moda e in un certo senso sono un privilegiato, ma la moda oggi non può reggersi da sola, deve essere inserita in un contesto culturale, artistico e sociale in cui esprimere le sue potenzialità”.
Quali sfide la attendono? “Vivo in un costante stato di sfida perenne, attirato da missioni impossibili. Sconfino in campi limitrofi come l’arte, il cinema, i costumi , la letteratura. Ho la mente caoticamente affollata che rimane così sempre impegnata. Nel prossimo futuro la mostra di Maria Lai, della quale curo l’allestimento di una sezione. Maria Lai, artista emblema di Sardegna”.