sabato 7 dicembre 2013
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Un «sano pluralismo, che davvero rispetti gli altri e i valori come tali, non implica una privatizzazione delle religioni, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe o delle moschee. Si tratterebbe, in definitiva, di una nuova forma di discriminazione e di autoritarismo». Parola di Papa Francesco, che nella Evangelii gaudium definisce la libertà religiosa «un diritto umano fondamentale». Quasi una premessa al convegno col quale da ieri e fino a domani a Milano l’Unione dei giuristi cattolici italiani (Ugci) con relatori di prim’ordine pone il sigillo all’Anno Costantiniano che si conclude oggi, giorno nel quale la diocesi onora il vescovo Ambrogio. Ragionando di «Frontiere della libertà religiosa» i giuristi cattolici centrano il punto che l’Anno lascia in eredità. Perché non siamo di fronte a «un’entità che esiste in astratto», come ricorda il vicario per la carità, la cultura e l’ecumenismo della diocesi ambrosiana monsignor Luca Bressan. Oggi, spiega citando il cardinale Scola, attorno alla libertà religiosa si aprono «varianti assai cruciali» come «il rapporto tra ricerca religiosa personale e la sua espressione comunitaria», il «potere dell’autorità pubblica legittimamente costituita di distinguere una religione autentica da ciò che non lo è», il «rapporto religioni-sette», l’«acuto problema della libertà di conversione» e «l’equilibrio tra libertà religiosa e pace sociale», temi che «hanno assunto una particolare configurazione nelle società plurali».Un po’ come nel nostro Paese che, secondo il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, «pur attraversando una fase di grave smarrimento e di crisi, nel campo dei diritti e della libertà religiosa è stato e continua a essere uno dei più avanzati al mondo grazie alle scelte dei nostri padri costituenti che hanno fortemente voluto indicare il principio della libertà di culto tra i cardini della Costituzione». Certo, i diritti fondamentali della persona vanno rispettati tutti, e con i fatti. Per questo il ministro non può fare a meno di citare «il sovraffollamento delle carceri», suo vero cruccio, che «degrada, a livelli intollerabili, la condizione di vita dei detenuti». È qui che si deve fare «un passo in avanti» per «il riconoscimento dei diritti più elementari». Chiamata poi a pronunciarsi sulla possibilità che a Milano sorga una nuova moschea per l’Expo, Cancellieri si limita a dire che «tutto quello che concorre a esprimere liberamente il proprio credo è senz’altro benvenuto».Attenzione però agli equivoci, abitualmente ben mimetizzati sotto le migliori intenzioni: «Al paradigma della cultura liberale-laicista – argomenta il presidente Ugci Francesco D’Agostino – secondo il quale le religioni sono tutte ugualmente insindacabili, ed è quindi indifferente per lo Stato quali siano le credenze dei cittadini, si oppone quello della Chiesa post-conciliare per cui la costruzione della propria individualità dipende dalla ricerca della verità come dovere di ogni essere umano: lo Stato non potrebbe quindi mai ostacolare i cittadini nell’adempimento di un simile imperativo morale. Questo approccio antropologico alla libertà religiosa entra oggi in rotta di collisione con quell’idea tutta politica propria della tradizione liberale, che ora pretende di intromettersi nelle opzioni morali dei cittadini considerando irrilevante che esse abbiano a che fare con il dovere di ricerca della verità e con l’esercizio della libertà religiosa».Quella introdotta dall’Editto di Milano di 1.700 anni fa è dunque una libertà sempre in costruzione. In fondo, è quanto diceva Paolo VI, citato dal presidente dei giuristi cattolici milanesi Gianfranco Garancini: «La libertà religiosa – dice Garancini – si anima e diventa la condizione per "far diventare cultura la propria fede", riaffermandone anche il valore storico, pratico, capace, di costruire nel tempo la società». In questo cantiere sempre aperto, e sempre sfidato dalle mareggiate della storia, «l’Europa e l’Occidente – riflette Carlo Cardia – si trovano oggi ad affrontare le due sfide della multiculturalità e della secolarizzazione». Quanto alla prima, però, giungono «risposte contraddittorie»: «Una tendenza francesizzante – nota il giurista – vuole cancellare i colori e i simboli della religione, e riaprire vecchi contenziosi ottocenteschi; un’altra mira a distinguere tra il cristianesimo, cui riserva un laicismo ostinato, e le altre religioni che accoglie integralmente, anche quando implicano scelte e tradizioni regressive, contrarie ai diritti delle persone». La secolarizzazione invece «investe i grandi temi antropologici del matrimonio, della procreazione, del dolore, ai quali si vorrebbe applicare strumentalmente il criterio della laicità. Per la cultura relativista il legislatore dovrebbe introdurre una normativa del tutto permissiva solo perché il pluralismo etico è divenuto (a suo avviso) sinonimo di pluralismo religioso», una deriva che Cardia contesta come «alterazione del concetto di laicità».L’antidoto c’è, ed è una ricetta vecchia di 17 secoli: «Per poter salvaguardare un’autentica laicità lo Stato – secondo il rettore della Lumsa Giuseppe Dalla Torre – ha bisogno della Chiesa». «Tutto – aggiunge – ha origine con la pretesa, propriamente cristiana, di distinguere il regno di Dio dai regni di questo mondo: occorre dare a Cesare quel che è di Cesare ma a Dio quel che è di Dio. L’aver distinto ciò che è di Cesare da ciò che è di Dio ha negato la plenitudo potestatis dello Stato, ne ha ricondotto l’autorità entro un ambito definito, ha indotto un processo di chiarimento in ordine alle sue competenze, non giuridicamente intese ma concepite come attitudini naturali». Lo Stato infatti «non è naturaliter laico», e «la laicità non è elemento strutturale proprio, distintivo, genetico, di ciò che chiamiamo Stato».Che la Chiesa sia maestra di laicità per lo Stato, e dunque lo richiami con la sua stessa esistenza al rispetto di un’inviolabile sfera di libertà, è idea che echeggia nelle parole del prefetto dell’Ambrosiana monsignor Franco Buzzi quando ricorda al convegno Ugci come «l’idea della libertà religiosa sia intimamente costitutiva della visione antropologica cristiana». È vero: la «nativa e insopprimibile libertà di coscienza propria di ogni essere intelligente» ha trovato riconoscimento nella «libertà di religione» da parte dello Stato laico, ma questa – avverte Buzzi – resta ancora «una debole e fragile conquista, partecipe al tempo stesso della forza e della debolezza di tutti quei valori umani che per affermarsi non hanno bisogno d’altro che della riflessione critica, della coscienza riflessa e della volontà che si decide per la ricerca della verità dell’umano». Questa fragilità per Gregor Puppinck, direttore del Centro europeo per la legge e la giustizia, ha una chiara spiegazione: «I due approcci fondati sui concetti di neutralità e laicità – spiega – sono insufficienti per comprendere giuridicamente la dimensione religiosa della società e la dimensione sociale della religione». Ne occorre dunque un terzo, che consiste in «una migliore considerazione della dimensione religiosa e collettiva delle culture nazionali». Problemi da XXI secolo, d’accordo, ma quell’Editto del 313 ha ancora molto da dirci.
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