L’impiegata della libreria porge “il libro più bello dell’anno” - l’Atlante delle isole remote di Judith Schalansky (la traduzione è di Francesca Gabelli) - senza fare una piega. Sarà perché è il libro più bello in Germania. Ma il desiderio è di capire perché sia il libro più bello e se il testo sia all’altezza della bella veste grafica. L’Atlante ripete in piccolo la prima edizione grande quasi come un vero atlante del 2013. Aprendo a caso una pagina, a destra si trova la cartina di un’isola, a sinistra la voce che parla di quell’isola. Tutte le isole sono su un fondo di mare celeste. L’unico altro colore nelle pagine è un giallo scuro, a segnalare i luoghi essenziali delle varie isole sulla cartina. Nelle notizie in fondo al volume si scopre qualche curiosità. Soprattutto la data di nascita della scrittrice, 1980. Così giovane dunque e dalla scrittura così esperta e già disillusa. L’Atlante tascabile delle isole remote è bello e desolato. Ha la capacità di seduzione di ciò che non lusinga. Ma soprattutto è la verità, la ricerca dell’autenticità, ad essere seducente. Perché queste voci di atlante sono belle e sconsolanti? Perché si parla di isole remote, che sono desolate quasi tutte. E come può andare la bellezza insieme a una specie di disperazione? La disperazione fa piazza pulita, toglie tutto il di più e accade di poter guardare alla fine qualcosa di scabro ed essenziale e netto, su cui non c’è più niente da disperare e da cui si può in qualche modo ripartire. Ma è necessario riportare una delle voci. Sull’isola Semisopochnoi. «Un suono di sillabe simile a una formula magica, un nome russo per una terra americana: Semisopochnoi forse il punto più a ovest degli Stati Uniti. Nessuno lo vuole scoprire con esattezza. Qui niente è veramente importante. Nessuno ha mai vissuto qui. Non ce ne sarebbe una ragione. Solo di tanto in tanto, arrivano un paio di ricercatori, raccolgono pietre, misurano i crateri e fanno foto panoramiche, sulle quali le catene montuose sembrano quelle che si vedono al cinema. Un paio di volpi bianche si allontanano nel bosco e fissano a lungo gli strani visitatori: non hanno paura di quegli esseri sconosciuti. Il loro manto è di un perfetto blu scuro (…) Le eruzioni vulcaniche che si verificano di continuo non minacciano nessuno. Il monte Cerbero è quello più attivo. Con le sue tre cime veglia sulla brulla terra montana imporporata dal cielo sempre coperto. Un paio di crateri emettono talvolta piccoli pennacchi di fumo, ma potrebbero essere anche delle nuvole rimaste appese alle loro cime ». Si dovrebbe leggere un’isola al giorno. Forse è la misura più rispettosa, come per una raccolta di poesie. È bello che per un libro simile, alimentato certamente da decine di altri saggi e letture, non sia citata una sola fonte: le bibliografie si addicono male alle raccolte di poesia. La freddezza della scrittura della Schalansky assomiglia al clima di molte sue isole. E lo scegliere un solo dettaglio su cui si dirige tutto il fuoco, dà ai ritratti un’aria di irrealtà che si accorda con questi luoghi così lontani da noi, in ogni senso, da poter metterne in dubbio l’esistenza. Quanti di quei particolari, di quegli eventi piccoli o enormi con cui si vuol riassumere la vita dell’isola, sono davvero accaduti, quanti sono fantasia della scrittrice? Questo non si distingue mai ed è bene così. L’Atlante delle isole remote dev’essere uno dei libri più belli dell’anno anche in Italia. Con la felicità dell’idea, e la perizia con cui è diventata scrittura, Judith Schalansky ha reso difficile a chiunque di scrivere sullo stesso soggetto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Judith Schalansky
ATLANTE TASCABILE DELLE ISOLE REMOTE Bompiani. Pagine 240. Euro 15,00