«O italiani, io vi esorto alle storie»: così il Foscolo nell’orazione
Dell’origine e dell’ufficio della letteratura. Inizio questa riflessione su un libro molto interessante citando l’incipit della postfazione di Daniele Piccini, che oltre a essere uno dei pochi poeti significativi della sua generazione (quella successiva alla mia), è un critico di alto livello. Sapendo appunto della sua postfazione al libro
Attualità del mio Novecento, ove un suo protagonista italiano, Leone Piccioni, è intervistato da Silvia Zoppi Garampi, (edizioni Libreria Dante & Descartes, pagine 198, euro 14,00), mentre accoglievo volentieri l’in- vito a scrivere la premessa, mi domandavo se non sarebbe stata, non dico inutile, ma ridondante. Considerando che il libro comprende anche un’appendice a cura del figlio di Leone, Giovanni, acuta e informativa. Leggendo solo poche pagine compresi però subito che il mio intervento sarebbe stato tutt’altro che un puro cameo, ma anzi utile: perché l’Italia che per Piccini è una storia, una nobile storia, per me, oltre che tale, è anche vita vissuta. Sono nato nel 1952, ho goduto della prima televisione, con i magnifici sceneggiati, le trasmissioni culturali, gli spettacoli del sabato eleganti e mai sfiorati da volgarità. Vedevo, sempre in bianco e nero, i personaggi della politica, che mi interessavano molto meno. Queste pagine raccontano quella complessa realtà. Non solo il rapporto tra Piccioni e Ungaretti e la letteratura di quel tempo, ma l’epoca in generale, un’età felice dell’Italia. Una sorta di storia del secolo attraverso le cronache rivissute e interpretate da un suo testimone partecipe e critico, appassionato e disincantato. Interrogando un uomo di cultura che ha svolto un ruolo significativo nella letteratura e nella realtà sociale dell’Italia novecentesca, noi ci troviamo di fronte a un racconto che mette in luce momenti cruciali della nostra vicenda culturale, politica, spirituale. Che si tratti della nascita della Repubblica italiana, degli esami universitari con Ungaretti che dava il 18 a tutti, anche ai somari, o degli incontri con i maestri, i colleghi, i pittori amati come Carrà e Morandi. La riflessione di Piccioni sui suoi autori può essere condivisa o discussa, come per ogni vero critico, libero, in questo caso, anche dal suo ambiente, dalla sua Forte dei Marmi, dalla sua Firenze ieri e poi Roma. Leone Piccioni si butta nella letteratura come critico, nell’università come studioso, in televisione come padre fondatore della civiltà italiana che dal dopoguerra e dalla vergogna del fascismo ci porterà ai brividi di Fellini e di Anton Giulio Majano… Non solo gli scritti memorabili su Ungaretti, le pagine rivelanti sulla civiltà poetica italiana. Anche una vita civile, un impegno alla resurrezione culturale e morale del nostro amato paese. Bella la storia di Leone Piccioni, figlio di un importante avvocato democristiano, ministro di De Gasperi. Leone studente in legge, che poi passa a lettere, si innamora di Ungaretti e da lì legge il mondo, lavora ad alto livello per creare una televisione che forma un paese. Che cita le scuse di De Gasperi agli alleati, in quanto capo di un governo di un paese ex fascista. Leone Piccioni che lavora all’anima poetica e al riscatto sociale del nostro paese. E, per merito del soggettista-sceneggiatore Silvia Zoppi Garampi, il colpo di scena finale: Leone, aveva anche partecipato attivamente alla resistenza.
Nomen est omen. © RIPRODUZIONE RISERVATA Storia e politica, letteratura e arte, Ungaretti ma anche Carrà e Morandi: il critico racconta il “suo” Paese, intervistato da Zoppi Garampi
VISIONI. Leone Piccioni