Raimon Panikkar nel 2007, a Milarupa, Calitjas - Roses - Girona, Spagna - Milena Carrara / WikiCommons / CC0 1.0
Quanto ancora possono parlarci e fecondarci i Veda, antichissima raccolta di letteratura religiosa, apparsa nel nord dell’India, fra i 2000 e i 1000 anni a.C.? Possono interpellare anche l’uomo contemporaneo occidentale, o restano fruibili solo da chi appartenga alla loro straordinaria cultura di origine? Ecco alcuni degli interrogativi cui vuole rispondere la magnifica antologia di Raimon Panikkar, I Veda e gli inni cosmici (Jaca Book, pagine 880, euro 45,00), cui il grande teologo e filosofo indocatalano attese, da solo e in équipe, per più di dieci anni. La parola Veda in sanscrito significa «conoscenza, sapere, saggezza » e per il fatto che questi testi non hanno un autore umano ma sono stati solo “uditi” vengono chiamati shruti («ciò che è udito»).
Già il titolo originale dell’opera – pubblicata in inglese nel 1977 – dice molto degli intenti panikkariani: The Vedic Experience. Mantramañjari. An Anthology of the Vedas for Modern Man and Contemporary Celebration. Intanto al centro è appunto l’esperienza vedica, dell’uomo vedico. La parola scelta è cruciale, perché, spiega Panikkar, «i Veda sono un’esperienza umana tuttora valida e in grado di arricchire l’uomo moderno nel suo tentativo di adempiere il proprio compito in un’era in cui, nel bene e nel male, la sua sorte è indissolubilmente legata a quella dei propri simili ed egli non può più permettersi di vivere in isolamento. Questa antologia è un invito a fare nostra l’esperienza fondamentale dell’uomo vedico, non perché è interessante o antica, ma perché è umana e dunque appartiene a noi tutti». Il resto del sottotitolo ulteriormente attualizza tale esperienza, sottolineandone il carattere sacro ma anche secolare e a disposizione dell’uomo contemporaneo: la parola sanscrita mantramañjari unisce infatti mantra che sta a significare la dimensione sacra dell’uomo, con mañjari, che è invece una parola profana («mazzo di fiori», «bouquet»).
I testi antologizzati e splendidamente commentati sono espressamente indirizzati all’uomo d’oggi in visto di un recupero contemporaneo dell’istanza celebrativa, laudativa, che è tassello essenziale della spiritualità vedica, colma, come essa è, di gioia dell’essere e dell’esistere. Panikkar non vuole sradicare questi grandi testi dal loro humus originario. Infatti «la Bibbia, il Corano, i Veda sono indissolubilmente legati a quelle particolari fonti religiose da cui sono scaturiti storicamente. L’eclettismo, in questo caso, costituirebbe un modo di procedere dannoso. Non intendiamo separare le radici dalla loro identità storica, ma crediamo che questo radicamento non precluda un’ulteriore crescita». Nessun déracinement o neppure una qualche coltura artificiale e, troppo corrivamente, geneticamente modificata, quanto piuttosto un trapiantare queste radici con la parte migliore del loro luogo natio, in modo tale che esse attecchiscano al loro terreno in un nuovo ambiente. È in gioco insomma un’operazione interculturale e inter-intrareligiosa di altissimo livello, cui Panikkar ha dedicato la vita e l’opera, all’insegna di una «mutua fecondazione», perché nessuna cultura oggi possiede la parola definitiva, neppure la cultura occidentale e tantomeno quella tecnologico-tecnocratica.
L’imponente antologia panikkariana è una vera e propria opera-mondo, costruita su sei grandi movimenti: Aurora e Nascita, Germinazione e Crescita, Fioritura e Pienezza, Tramonto e Declino, Morte e Dissoluzione, Nuova Vita e Libertà. Su questa intelaiatura sapiente e “mandalica” Panikkar dispone, intreccia e commenta i testi della shruti, dai RigVeda, più antichi, fino alle più recenti Upanishad, non escludendo la Bhagavadgita, che di tutti i Veda è quintessenza e geniale sintesi. Impossibile rendere conto degli spunti interminati che quest’opera ci offre: dalle vette metafisiche dell’inno delle origini in cui non c’era né Essere né Non-Essere, all’Uno senza Secondo, alla celebrazione di Vac, la Dea-Parola, per arrivare agli elementi (il fuoco, la terra, l’aria, l’acqua), agli dèi vedici, Agni e Indra su tutti, fino alla celebrazione del sole, dell’amore umano, dell’amicizia, della vita nella sua integralità, o alla sintesi triplice degli yoga della «conoscenza », dell’«amore-devozione» e dell’«azione». Il cammino è tanto interiore quanto cosmico, perché Brahman e atman – Sé cosmico e Sé personale – si richiamano costitutivamente.
In questi testi, specie negli antichi inni vedici, si rivela «il carattere della creazione- sacrificio: la sua funzione onnicomprensiva nella quale l’intero universo è coinvolto. Non è una questione puramente divina, né un tentativo meramente umano, né un cieco processo cosmico; è umano, divino e cosmico al contempo. Ovverossia è cosmoteandrico. Dio, Uomo e Mondo sono correlati». Il volume panikkariano non è solo cultura, erudizione e conoscenza: è un viaggio di trasformazione, di sapienza, di realizzazione. Una vera e propria iniziazione alla grandiosa spiritualità hindu ma anche, semplicemente, alla profondità dell’umano di cui abbiamo bisogno e sete più che mai in questo momento storico così ambiguo e travagliato.