I recenti e recentissimi avvenimenti in quell’area dell’Asia sudoccidentale che anche noi chiamiamo ormai, sul modello britannico, 'Vicino Oriente' ( Near East), termine che ha inglobato il nostro vecchio caro 'Levante', sono o dovrebbero essere ben noti: ma è un fatto obiettivo ch’essi sono poco capiti in quanto sconosciute o quasi sono purtroppo dagli europei – anche da quelli che, come gli italiani, vi abitano vicino – le vicende storiche di quelle terre comprese tra Caucaso e penisola arabica e tra Mar di Levante e fiume Tigri, per circa mezzo millennio dominate dai turchi ottomani e, dopo la fine della prima guerra mondiale, senza completa pace. Anzi, negli ultimi decenni la loro condizione sembra essersi addirittura aggravata a causa di varie irrisolte questioni, tra le quali primeggiano il problema dell’estrazione e dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi e gassosi, l’eterna crisi israelo-palestinese e, negli ultimi tempi, il fenomeno del jihadismo islamista accompagnato dalla fitna ('discordia', 'guerra civile') tra musulmani sunniti e i loro correligionari sciiti.
Ma come nacque, come fu – possiamo dire – 'inventato' quel 'Vicino Oriente' che qualcuno si ostina a definire ancora 'Medio', creando un’inopportuna confusione con la vasta area compresa invece tra corso del Tigri e Himalaya? Nel 1962 un fortunato kolossal di David Lean, magistralmente interpretato da Peter O’ Toole, Alec Guinness, Omar Sharif e Anthony Quinn, Lawrence d’Arabia, suscitò con il suo grande successo una nuova attenzione attorno alla «rivolta araba del deserto» che, nel biennio 1916-18, determinò la vittoria anglofrancese contro l’impero ottomano alleato dei tedesco-austrungarici nel delicato e importantissimo 'fronte meridionale'. Gli arabi, sotto la guida dello sceicco dei Luoghi Santi della Mecca e di Medina Hussein e dei suoi due figli Feisal e Abdullah, si sollevarono contro il loro sovrano, il sultano d’Istanbul (ch’era anche califfo), in seguito all’assicurazione – loro fornita dai servizi di Sua Maestà britannica – che in premio per il loro sforzo sarebbero state accordate a tutte le genti arabe unità e indipendenza. Lo sceicco Hussein si vide promettere la corona di un regno d’Arabia libero e unito ch’egli sognava di organizzare all’inglese, con un sistema bicamerale simile a quello vigente nell’impero britannico dell’India, e di farlo entrare nel Commonwealth.
Cronista della 'rivolta del deserto' fu un giovane archeologo divenuto agente del Foreign Office, il colonnello Thomas E. Lawrence, che ci ha narrato quell’epopea nel suo libro I sette pilastri della saggezza. Gli arabi combatterono valorosamente e ferocemente contro i turchi, consentendo agli anglofrancesi la conquista di Damasco e di Baghdad. Ma intanto, in forza degli accordi segreti che presero il nome dai loro due negoziatori George-François Picot e Mark Sykes, francesi e inglesi si erano già spartiti il mondo arabo. Le vicende collegate con il petrolio fecero il resto: Hussein non divenne mai re se non del piccolo Hijaz, ma fu ben presto battuto – col beneplacito britannico – dall’avversario Ibn Saud, capo della setta wahhabita. Intanto un numero crescente di coloni ebrei sionisti si riversava in Palestina, provocando le reazioni arabe. Si posero così le basi per un’inquietudine cronica, oggi sfociata in guerre e tensioni continue.
Il colonnello Lawrence, secondo una versione dei fatti ch’egli stesso accreditò nei suoi scritti e che divenne 'classica' anche grazie ai molti biografi che contribuirono a creare la sua figura eroica e romantica, pur restando fedele al suo paese disapprovò l’inganno perpetrato ai danni del mondo arabo e si ritirò in un’inquieta vita privata dalla quale dette peraltro più volte segno di voler uscire provocando molte inquietudini: e la sua morte in un 'incidente' che lascia posto a molti dubbi infittì il mistero sui suoi ultimi anni. Eppure, nel mondo arabo, la fama di 'El Aurens' fu sempre ambigua: non si credette mai alla sua solitaria buonafede: si arrivò a considerarlo – e questa è ancor oggi l’opinione prevalente – un doppiogiochista se non un traditore. Questa tesi viene oggi in qualche modo e con molti distinguo sostanzialmente confermata da due studi recenti. Fabio Amodeo e Mario José Cereghino, in Lawrence d’Arabia e l’invenzione del Medio Oriente (Feltrinelli), inserendo la figura dell’archeologoagente-. avventuriero nell’ampio contesto della realtà politica, diplomatica e militare del tempo, rilevano il ruolo non sempre lineare da lui giocato. D’altronde Phillip Knightley e Colin Simpson, in Le vite segrete di Lawrence d’Arabia (Odoya), allineano ricche prove documentarie secondo le quali il colonnello non avrebbe mai entusiasticamente condiviso la causa dell’unità e dell’indipendenza arabe e avrebbe sempre coerentemente agito sulla base del principio che l’interesse di Sua Maestà britannica fosse invece quello di mantener diviso il Vicino Oriente per meglio dominarlo. Quel che contava era il petrolio e la sicurezza delle rotte navali, soprattutto attraverso il Canale di Suez e il Golfo Persico. Fra 1918 e 1920, quasi esattamente un secolo fa, le potenze vincitrici della Grande Guerra avrebbero potuto avviare il mondo arabo sulla strada dell’unità, dell’occidentalizzazione e della democrazia parlamentare. Preferirono seguire la strada ormai già antiquata della dominazione coloniale e del divide et impera. Avrebbero potuto gettare le basi per una lunga pace futura: preferirono egoisticamente aprire il cammino a nuove guerre. Da cento anni subiamo le conseguenze di questa scelta: e tutto dà a pensare che ne avremo ancora per lunghissimo tempo.