L’astrofisico Massimo Robberto - -
«Siamo pronti e non vediamo l’ora, sarà la più grande finestra spalancata sull’Universo mai realizzata. Con Webb cercheremo nuove risposte sull’origine dell’Universo, sapendo che quel mistero con la 'M' maiuscola che si nasconde dietro alla creazione provocherà nuove domande». Massimo Robberto, di origini astigiane e torinese d’adozione, ora guida il team di astrofisici che dal Centro Nasa di Baltimora gestirà lo strumento principale del nuovo super telescopio spaziale James Webb, il cui lancio avverrà il prossimo 24 dicembre (salvo ulteriori rinvii) dalla base europea della Guyana con un razzo Ariane 5. Classe 1958, sposato, è stato il primo a ottenere un dottorato in astrofisica all’Università di Torino. Siamo negli anni Ottanta, alla facoltà di Fisica. Massimo Robberto vive negli Stati Uniti dagli anni Novanta, dopo un percorso di carriera con un’ascesa vertiginosa: «Ma penso che tra un po’ tornerò in Italia, e nel mio Piemonte. Sono piemontese da parte di mia mamma - ci dice proprio mentre si trova a Cossombrato, nell’astigiano, prima di rientrare in Maryland per gli ultimi preparativi in vista del lancio di Webb - e siciliano da parte di mio papà, che dopo la laurea in lettere classiche andò a lavorare in Fiat, finendo per assumere un ruolo di direzione alla Iveco. Da bambino ho girato l’Italia con i miei genitori, partendo da Roma arrivando infine a Torino per frequentare il scientifico Volta». «Dopo la laurea e il dottorato - ricorda Robberto - ho lavorato per alcuni anni all’Osservatorio astrofisico di Pino Torinese. E mi sono subito specializzato in studi astronomici nell’infrarosso termico, un campo allora nuovo e molto importante per studiare l’universo. Perché termico? Perché a quelle lunghezze d’onda la temperatura del nostro ambiente rende tutto luminoso per cui gli strumenti astronomici, che amano il buio, devono essere tenuti a temperature molto basse». Ed è questa una della grande sfide del James Webb space telescope, che sarà l’argomento principale dell’Astronomy day: «Dopo Torino, sono stato assunto dal Max Planck institute, in Germania, e poi dall’Esa - aggiunge l’astrofisico - che mi ha destinato al team dello Hubble space telescope, attualmente ancora operativo. Ho contribuito allo sviluppo dello strumento infrarosso di Hubble, che però resta un telescopio 'caldo', concepito per l’astronomia ottica. Webb è stato invece costruito per l’infrarosso termico, e quindi, anche considerando le mie competenze, è stato un sogno quando la Nasa mi ha proposto di lavorare per questa missione. Noi come team scientifico della 'Camera a grande campo' inizieremo a fare le prime osservazioni scientifiche il 19 giugno 2022, giorno numero 181 dopo il lancio. Prima dobbiamo assicurarci che tutti gli strumenti, l’enorme struttura meccanica e i 18 grandi specchi esagonali di Webb, vengano dispiegati e allineati con assoluta precisione. Questo grande telescopio spaziale è previsto per 10 anni di operatività, e tra i molti obiettivi di ricerca, ci sarà un nuovo sguardo sulla formazione delle prime galassie e dei pianeti attorno ad altre stelle, nella speranza di trovarne molti che siamo simili alla Terra e che quindi possano ospitare vita, anche solo primordiale». «Ma Webb è anche un’enorme sfida tecnologica: infatti dovrà operare a 235 gradi sotto zero, a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, e non potrà essere raggiunto da astronauti per riparazioni come l’Hubble posto tremila volte più vicino, in orbita terrestre. Tutto deve essere perfetto. Webb cercherà risposte sulla nascita dell’Universo, e magari su quello che Robberto definisce mistero con la 'M' maiuscola. «La natura ci ha fatto, e ci farà sempre dei regali meravigliosi - dice l’astrofisico - e sta a noi riceverli e capirli. Io resto sempre incantato, meravigliato per tutto ciò che scopriamo, ma la domanda per me inevitabile è sul suo significato». A questo punto è lui stesso a farci un esempio: «È come una donna che riceve un bel mazzo di rose e trova un bigliettino con scritto 'da un suo misterioso ammiratore'. È bello ammirare i fiori, ma il problema è scoprire chi è quel misterioso ammiratore. Che rimane nascosto, ma le rose dicono che c’è. E poi magari può decidere di farsi riconoscere, un bel giorno, come si incontra un amico».