Il telescopio spaziale Hubble in orbita attorno alla terra - NASA/Flickr/CCby2.0
Il James Webb Telescope sta per partire verso lo spazio da dove osserverà l’Universo all’infrarosso fin molto vicino al Big Bang. E se riuscirà allargherà i confini delle nostre conoscenze astronomiche realizzate dal suo predecessore: l’Hubble Space Telescope. Era il 24 aprile del 1990 quando cinque astronauti a bordo dello Space Shuttle Discovery depositarono il telescopio spaziale su un’orbita a circa 600 chilometri di distanza dalla superficie terrestre. Dopo un problema agli specchi – che non dava modo di osservare con precisione gli oggetti dell’Universo - risolto grazie ad una missione realizzata con un altro Shuttle nel 1993, l’occhio di Hubble ha iniziato a mostrarci cose mai viste, portandoci quasi ai confini del tempo e dello spazio.
A partire dal nostro sistema solare dove, fotografando anno dopo anno i pianeti, ci ha permesso di osservare l’evoluzione d’insieme delle loro atmosfere o di riprendere fenomeni davvero unici. Come quando, ad esempio, fu testimone dell’estremo viaggio della cometa Schoemaker-Levy 9 che venne ridotta in frantumi dall’attrazione gravitazionale di Giove mentre gli passava vicino nell’estate del 1992. Due anni dopo Hubble seguì i frammenti mentre precipitavano nel cuore dell’atmosfera di Giove. Allora trasmise immagini impressionanti delle cicatrici provocate dall’impatto.
Nel corso degli anni poi, ha documentato la tumultuosa nascita delle stelle un po’ ovunque nella nostra Galassia. Con i suoi strumenti che osservano all’infrarosso è riuscito a penetrare le nubi di polvere che avvolgono le culle delle stelle, mostrando queste ultime come mai le avevamo viste prima. Una delle più emozionanti immagini che ci ha rilasciato è quella in cui si possono osservare dischi di polvere attorno ad alcune stelle neonate nascoste nelle profondità della Nebulosa di Orione. Lì stanno nascendo nuovi sistemi solari proprio come è successo nel nostro quattro miliardi e mezzo di anni fa.
Spesso le stelle terminano la loro vita in modo catastrofico, disintegrandosi in esplosioni stellari titaniche, note come supernovae. Per pochi, gloriosi mesi, possono diventare tra gli oggetti più luminosi dell’intero Universo superando in splendore tutte le altre stelle della loro galassia. Tra questi oggetti Hubble ha assistito allo spettacolo della Supernova 1987A. Il telescopio ha tenuto sotto osservazione un anello di gas che si era formato attorno al punto di esplosione della supernova. Nel corso degli anni ha visto apparire alcune macchie luminose lungo l’anello, come fossero pietre preziose di una collana. Quelle perle cosmiche sono state accese da onde d’urto supersoniche liberate durante l’esplosione della stella.
E poi ha studiato e fotografato le galassie, le immense isole di stelle come la nostra al cui interno se ne contano a centinaia di miliardi. E anche se l’Universo è fatto più da vuoto che da materia, le galassie possono scontrarsi. Memorabile è l’immagine del Bullet Cluster dove due giganteschi ammassi di galassie di stanno scontrando a circa 3 miliardi e 720 milioni di anni luce da noi.
E poi ha “indagato” cosa succede in prossimità dei buchi neri. Ogni galassia possiede un buco nero nel suo cuore e Hubble ha studiato il movimento delle stelle che stanno in loro prossimità raccogliendo dati che hanno permesso di ottenere le masse dei buchi neri. Quello che c’è al centro della nostra galassia, ad esempio, possiede una massa paragonabile a 4 milioni di volte quella del Sole. Hubble ci ha permesso di osservare anche le “lenti gravitazionali”.
Sono una sorta di miraggi dell’Universo. Si formano perché la gravità curva lo spazio e dunque devia i raggi di luce. Così succede che la luce proveniente da galassie lontane viene distorta e amplificata dal campo gravitazionale di oggetti (come galassie molto massicce) che incontra nel cammino verso la Terra. È come guardare attraverso un’enorme lente d’ingrandimento e il risultato è il cosiddetto effetto “lente gravitazionale”.
Ed è anche grazie ad Hubble che misurando “lo spostamento verso il rosso” (è il fenomeno simile a quello che succede al suono della sirena di un’ambulanza quando si allontana da chi l’ascolta: il suono viene “stirato” proprio a causa dell’allontanamento dell’ambulanza stessa) degli oggetti più lontani che si è riusciti a determinare la loro posizione quando la luce è partita e conseguentemente l’età dell’Universo, che è risultato essere di 13 miliardi e 800 milioni di anni.
E poi c’è un’immagine simbolo non solo di quel che è riuscito ad osservare Hubble, ma per l’umanità intera: la “Ultra Deep Field”. È una fotografia che mostra quasi 10.000 galassie di varie età, dimensioni, forme e colori. Le galassie più piccole e più rosse, circa 100, potrebbero essere tra le più lontane conosciute, che esistevano quando l'Universo aveva appena 800 milioni di anni. Le galassie più vicine - le spirali e le ellittiche più grandi, luminose e ben definite - hanno preso forma circa 1 miliardo di anni fa, quando il cosmo aveva 13 miliardi di anni. L'immagine ha richiesto 800 esposizioni prese nel corso di 400 orbite di Hubble intorno alla Terra. Il tempo totale di esposizione è stato di 11 giorni e mezzo. Ma la vita di Hubble non è terminata. E le sue osservazioni continueranno affiancate da quelle del James Webb Telescope.