Nella Catalogna di Salvador Dalì, Antoni Gaudì e Juan Mirò il «Cortile dei gentili» – lo spazio di dialogo tra credenti e "umanisti" – non poteva che avere come tema «Arte, bellezza e trascendenza». La nuova tappa del confronto voluto da Benedetto XVI e intrapreso dal cardinal Gianfranco Ravasi per interloquire con «quanti si rivolgono a Dio come Sconosciuto» si sofferma a Barcellona. Giovedì e venerdì si alterneranno riflessioni e scambi in alcune prestigiose sedi: il Museo Nazionale d’Arte della Catalogna, con la prolusione del presidente del Pontificio Consiglio per la cultura, poi l’università di Barcellona e infine la Sagrada Familia. Francesc Torralba Rosellò, giovane teologo e valente filosofo da qualche mese nominato consultore dello stesso Pontificio Consiglio, vi interviene con una conferenza su «La via dalla bellezza all’amore». Numerosi i suoi scritti recenti: in italiano Qiqajon ha appena pubblicato
Volti del silenzio (pp. 200, euro 18); in Spagna sono appena usciti
La lógica del don (Khaf) e
Vida spiritual en la sociedad digital (Milenio).
Lei si è concentrato su temi spirituali ma aperti a tutti: silenzio, società digitale, dono. Un’indagine che ricalca molto il «Cortile dei gentili»... Perché quest’approccio?«La mia ricerca filosofica cerca di essere aperta e "permeabile". Ritengo che il mio compito come filosofo sia promuovere il pensiero e la riflessione su queste domande genuinamente umane che ognuno, al di là delle proprie convinzioni spirituali, si formula. La mia funzione è essere alla frontiera perché i confini sono luoghi creativi dove si può imparare dal dialogo condiviso. Ritengo che ogni essere umano abbia una dimensione spirituale che può essere articolata e sviluppata in modi diversi in virtù dei contesti e delle biografie».
Cosa accomuna credenti e umanisti?«Il senso di nostalgia, il desiderio di felicità, il bisogno di conforto e la paura sono esperienze trasversali che ci fanno fratelli nell’esistenza. Penso che la religione sia sostanzialmente rapporto che trascende il sé, collegando la persona con una realtà totalmente diversa che noi chiamiamo Mistero assoluto».
Nel suo saggio sul silenzio lei cita varie volte Ludwig Wittgenstein...«Wittgenstein è un pensatore profondamente spirituale. Basta leggere i suoi scritti biografici risalenti alla prima guerra mondiale e il
Tractatus logicus-philosophicus. Egli mostra i limiti del linguaggio scientifico e comprende che il silenzio è il migliore atteggiamento davanti al mistero della realtà. Questo attitudine di cautela e cura per ciò che trascende la razionalità scientifica mi pare molto interessante. Wittgenstein riconosce che non si può fare "scienza" sul senso della vita, ma la domanda del significato è, a sua volta, la più grave ed emotivamente coinvolgente che un essere umano possa farsi».
Dunque l’uomo religioso può scoprire un «di più» in chi non lo è? «Certo, nel dialogo il credente scopre molti elementi interessanti. Anzitutto si rende conto che i non credenti costituiscono un mondo molto eterogeneo. Ci sono gli indifferenti, ma pure gli "allontanati"; gli agnostici che cercano, ma anche quelli pieni di risentimento, molto critici con la religione per ragioni biografiche. Nel dialogo con i non credenti, chi crede è costretto ad esprimere ciò che è più essenziale e genuino della sua fede. Inoltre, deve farlo chiaramente e nitidamente, con termini "laici", come direbbe Habermas, poiché è l’unico modo per trovare un ambito condiviso».
Barcellona è una delle regioni più laicizzate d’Europa. Come rendere culturalmente credibile il Vangelo?«Credo si debbano trovare argomenti esistenziali e ragioni pratiche, senza dimenticare i motivi ragionevoli, per diventare cristiano. La persuasione è molto importante, ma il miglior argomento è mostrare che il cristianesimo è una proposta per la felicità del mondo, una comunicazione di esistenza, come disse Kierkegaard: una narrazione di senso che, integrata nella persona, diventa sorgente di tranquillità, serenità e donazione. Il cristiano è credibile quando vive con gioia ciò che ha sperimentato, quando mostra al mondo come il suo incontro personale con Dio e con ciò che Agostino chiama il "Maestro interiore" si tramuta in sorgente di pace per l’anima e pacificazione del mondo».
«La libertà più vera è la gratitudine», scrive nel libro sul dono. Oggi sembra il contrario. Quali gli esempi concreti di questa libertà?«La libertà si trova nella liberazione dall’Io, vivendo sotto la sorgente di bontà che esiste nel fondo di ogni essere. Significa essere consegnato agli altri senza calcolo né sperando nulla. La donazione di sé rimane davvero la via della felicità. Quest’ultima non risiede nel possesso né è un esercizio che si concentra sull’ego e la realizzazione dei propri desideri: questo è libertinaggio! Libero è chi vive liberato da pregiudizi e stereotipi, chi non è mosso dalla logica del calcolo e dell’interesse, ma da quella del dono, il dono più grande, che è l’
agape. Gesù è il mio modello di libertà umana, ma anche Francesco d’Assisi, Massimiliano Kolbe e Edith Stein hanno vissuto secondo questa prospettiva».