Fabrizio De André ha cantato tutta la vita per creare dei ponti, ha cantato la vita, la vita delle persone, ponendoci delle domande, degli interrogativi. Per abbattere le barriere, i pregiudizi. Per costruire un ponte fra gli inclusi e gli esclusi, tra chi sta dentro e chi sta fuori. Perché solo nella relazione si costruisce la speranza. Solo mettendosi in gioco. Pensiamo alle nostre iniziative di Libera realizzate sui terreni confiscati alle mafie. Chi l’avrebbe detto, solo qualche anno fa, che quelle terre in mano alla violenza criminale sarebbero ritornate terre di tutti, terre che danno lavoro e dignità a tanti giovani, terre coltivate a futuro? Impegno e speranza, impegno è speranza... E «dal letame nascono i fior».Fabrizio De André ha cantato per costruire quel ponte tra noi, ci ha aiutato a entrare nella storia delle persone, a togliere le etichette e i pregiudizi, a far emergere il positivo. Ma ci ha aiutato anche a essere attenti, a cogliere il male nelle sue forme più ambigue, quando si presenta mascherato, dove meno te lo aspetti.Una cosa comunque deve essere chiara: no alla solidarietà senza giustizia. Non basta l’accoglienza, la solidarietà, se a monte non sono garantiti i diritti, l’uguaglianza sociale. Ma è vero anche l’inverso, e Fabrizio l’ha tradotto infinite volte con stupende parole: no alla giustizia senza solidarietà, senza umanità. Tu devi rispondere delle cose che fai, però non si perda mai la prossimità, il «faccia a faccia» con le persone, l’attenzione e la speranza del cambiamento.Con la sua musica, con la sua poesia, Fabrizio De André in questo ci è stato maestro. È riuscito a tessere la tela della comprensione e della condivisione anche raccontando le storie più difficili, perché parlare di chi si toglie la vita, della prostituta, delle persone detenute, di chi ha toccato il fondo, di chi è travolto dalla violenza della guerra, non è semplice, non è facile. Ci vuole il dono della poesia, che è fatta di forza e di semplicità. E questo dono Fabrizio ce l’aveva. Sapeva entrare nell’anima delle persone, sapeva raccontarla, e attraverso quelle storie darci la prospettiva per cogliere le ingiustizie sociali, la libertà e la dignità calpestata in molti angoli del mondo. La sua musica: un punteruolo per rompere l’indifferenza e il silenzio...Gli amici del Gruppo Abele lo sanno. Quando per Natale o per Pasqua i credenti presenti nelle nostre comunità o nei nostri servizi (anche molti operatori-educatori spesso vogliono essere coinvolti e partecipare a questi momenti «forti» di spiritualità) mi chiedono di celebrare con loro la Messa, non ci poniamo mai all’ascolto della Parola di Dio (letture dell’Antico e del Nuovo Testamento) senza prima provare ad ascoltare la Terra, la nostra Terra e le nostre storie.Cerchiamo insieme qualche testo che ci aiuti a entrare nella storia delle persone. Cerchiamo una lettera, una poesia, una denuncia, un articolo di giornale o il testo di una canzone – anche questo: un modo, per noi, di sintonizzarci sulla fedeltà all’uomo prima di lasciarci abbracciare dalla straordinaria fedeltà e bontà di Dio. E un anno ho proposto – in chiesa – l’ascolto della canzone di De André: «E te ne vai, Maria, fra l’altra gente...». A tutti noi ha fatto un gran bene. Ci ha aiutato a pregare. Ci ha provocato con la poesia e con quella musica che parla «oltre» ogni discorso. Ne sono sicuro: anche il buon Dio ha apprezzato questo sforzo di fare dell’eucarestia una «tavola» che sa coinvolgersi per ascoltare il Risorto presente in mezzo a noi e chi – fisicamente assente – continua a donarci i suoi versi, le sue parole e la sua musica. Ulteriore (e ultima) domanda: come potrebbero dispiacersi, il Padre eterno e la Madonna, quando ci si sforza di saldare la terra al cielo; quando si vogliono legare le nostre fatiche e le nostre fragilità con il nostro impegno, con le nostre speranze e con la Sua capacità di colmarci della Speranza che non delude?