Valentino Rossi cade in allenamento e si frattura tibia e perone. Un campione del mondo di 38 anni suonati, che ha già vinto più di tutti i suoi avversari e non avrebbe più nulla da dimostrare, dal giorno successivo – dopo un’operazione chirurgica lampo – si rimette a lavorare per il recupero, con un programma accelerato di fisioterapia per essere in pista già ieri dopo soltanto venti giorni. Arrivato ai box con le stampelle, è salito in sella per girare in pista a 300 chilometri l’ora con la gamba dolorante. I fan lo acclamano, qualcuno lo giudica un temerario, che rischia troppo per sé, magari mettendo in pericolo anche gli altri se sarà in gara senza il perfetto controllo della moto. In ogni caso, un modello di forza di volontà e di capacità di focalizzarsi sul proprio obiettivo. Si può obiettare: ma è ricco e famoso, fa un lavoro che lo diverte e lo gratifica. Vero, ma com’è arrivato a questa condizione? È probabile che, oltre al coraggio e al talento, avesse fin dall’inizio una certa capacità di dedicarsi a ciò di cui era appassionato.
È ampiamente documentato come la perseveranza – ovvero la «costanza e fermezza nel perseguire i propri scopi o nel tener fede ai propositi», secondo il dizionario Treccani – sia correlata ai risultati scolastici di lungo termine (gli indicatori più studiati) indipendentemente dal livello intellettivo. In altre parole, chi è perseverante ha migliori voti e successi professionali.
Ma come nasce la perseveranza negli individui? Un interessante esperimento appena pubblicato sulla rivista Science offre indizi meritevoli di ulteriore approfondimento, sebbene l’idea generale possa non apparire sorprendente. Il messaggio generale è infatti che l’esempio conta. Nello studio condotto da Julia Leonard e colleghe del Mit, un gruppo di bambini di 15 mesi è stato suddiviso in tre differenti situazioni. Nella prima, i piccoli vedevano un adulto provare ripetutamente a raggiungere il proprio obiettivo (far funzionare un giocattolo); nella seconda, osservavano lo stesso adulto ottenere subito e senza sforzo lo stesso risultato; la terza funziona invece da caso neutro per il raffronto. Successivamente, a tutti i bambini è stato consegnato un nuovo gioco, di difficile utilizzo. Coloro che erano stati esposti alla prima condizione, ovvero avevano visto l’adulto perseverante, hanno fatto in media molti più tentativi di mettere in moto il gioco rispetto ai loro compagni.
Basta avere genitori o baby-sitter che si mettono d’impegno nel mostrare che non bisogna né innervosirsi né arrendersi per avere una generazione di giovani fortemente motivati o dediti a qualche causa? Probabilmente no, ma è difficile sottovalutare la posta in gioco. Sappiamo da tempo, anche grazie ai pionieristici esperimenti di Walter Mischel, avviati più di mezzo secolo fa, che la capacità di differire la gratificazione a quattro anni di età è un fortissimo predittore di personalità coscienziosa ed equilibrata. Il disegno dello studio è tanto semplice quanto è rilevante l’ipotesi soggiacente.
Lo psicologo offre un marshmallow da mangiare subito; ma se il bambino – lasciato solo – accetta di aspettare alcuni minuti, ne avrà due. La difficoltà è stare di fronte al dolcetto senza cedere alla tentazione di addentarlo immediatamente. Chi ce la fa (esistono video molto divertenti in cui i piccoli sono filmati mentre tentano di distrarsi dalla tentazione in buffi modi) avrà una vita molto più soddisfacente (lavoro stabile, meno divorzi, meno reati commessi) di coloro che invece hanno divorato subito l’inatteso regalo, individui il cui percorso esistenziale sarà maggiormente esposto a inconvenienti dovuti all’impulsività.
L’autocontrollo sembrava così un dono di natura, forse con una componente genetica. L’esperimento sulla perseveranza indica invece un ruolo per l’educazione. Autodisciplina e tenacia non sono necessariamente connessi, ma certamente contribuiscono a comporre una personalità capace di superare difficoltà e di mirare a obiettivi di lungo periodo. Certo, ci si può votare alla causa sbagliata, e in quel caso è molto meglio un criminale o un dittatore incostante che uno sterminatore seriale. Ma in genere tipi di carattere alla Valentino Rossi fanno bene a se stessi e alla società. Sapere come favorirne la crescita, pur rispettandone la libertà, sarebbe quindi un buon guadagno.