Moni Ovadia e Michele Placido, 'Passio Christi' al Teatro Comunale di Ferrara - Marco Caselli
Quando il poeta Mario Luzi apprese che papa Giovanni Paolo II gli aveva commissionato la meditazione per la Via Crucis al Colosseo, in occasione della tradizionale liturgia pasquale del venerdì Santo del 2 aprile 1999, fu assalito da profondo turbamento. Lui, che viveva la poesia come elezione e pratica salvifica, imbevuta di un cristianesimo concretamente vissuto, si sentì inadeguato: «Non era solo un dubbio di insufficienza – confessò il fondatore dell’ermetismo – ma il timore che la mia disposizione interiore non fosse così limpida e sincera quanto il soggetto richiedeva. Ero invitato a una prova ardua, un tema sublime, la Passione di Cristo: ce ne può essere uno più elevato?». Non ha avuto vertigini invece Michele Placido quando un mese e mezzo fa, fresco di nomina come presidente del Teatro Comunale di Ferrara, alla prima riunione operativa in totale sintonia col direttore generale Moni Ovadia, ha prontamente esternato i suoi intenti e scoperto le sue carte: «Non sono qui solo per firmare documenti e fare il ragioniere. Sono a servizio del teatro ma non sono venuto a pettinare le bambole e per Pasqua vorrei fare la Passione di Luzi». Tranchant e travolgente, l’attore e regista pugliese, diretto e determinato come il suo mitico commissario Cattani de La Piovra, «febbrile ed entusiasta come un bambino», sia pur coi capelli bianchi, come riferisce lo stesso Ovadia. Ma la sua non era supponenza o incoscienza, era piuttosto profonda consapevolezza e ferrea volontà di rendere visibile e incisiva la massima ascetica « per crucem ad lucem » perché c’è sempre bisogno, ancor più oggi, di comprendere il senso delle tribolazioni e di intravedere la certezza della luce.
Inizialmente il progetto aveva addirittura un respiro e una visione che travalicava il luogo teatrale deputato e prevedeva lo sconfinamento in tutta la cittadina estense con una rappresentazione dal vivo, in perfetto stile misterium, alle sei del mattino del sabato Santo con coro, orchestra, voci recitanti. Ma le famigerate varianti Covid hanno imposto una radicale variazione di programma, organizzazione e produzione ma non hanno affatto limitato la creatività e l’ingegno sia del presidente che del direttore i quali ribaltano l’evento in presenza, ovviamente proibito, in film teatrale senza rinunciare al coinvolgimento di alcuni luoghi fortemente simbolici della cittadina emiliana, a partire dal Castello Estense che a sua volta evoca un’altra drammatica passione con l’eccidio e la fucilazione di undici oppositori del regime fascista avvenuta nel novembre del 1943. Anche il Teatro Comunale stesso, secondo l’intenzione di Placido e Ovadia, deve essere invaso in ogni suo spazio, dal sottopalco al ballatoio, e ogni maestranza deve avere la sua visibilità, non solo gli interpreti, ma anche macchinisti, costumisti, tecnici perché la sofferenza e il sacrificio di questi funesti tempi ha colpito tutti e ognuno ha diritto alla rinascita. Il prodotto finale, proprio in queste ore in fase di lavorazione e montaggio, sarà un singolare ibrido fra cinema e teatro, una forma di video-art. Si intitolerà, in linea con la tradizione medievale, Passio Christi e sarà trasmesso venerdì Santo, 2 aprile alle ore 21 sul canale Youtube del Teatro Comunale di Ferrara. Interpreti, oltre a Michele Placido e Moni Ovadia, Sara Alzetta, Daniela Scarlatti che darà voce alla Mater Dolorosa e Vito Lopriore scelto da Placido per il ruolo di Gesù. A loro si affiancherà il Coro dell’Accademia dello Spirito Santo con Antonio Aiello al violino. La regia per la creazione del video si avvarrà della collaborazione di Toni Trupia.
Il testo di Luzi inoltre sarà contaminato dai Salmi 23 e 24 dell’Antico Testamento, dal “Lamento sotto la croce” da Mistero Buffo di Dario Fo e dallo Stabat Mater di Giovan Battista Pergolesi, che farà anche da leitmotiv musicale dell’opera, nella versione diretta da Claudio Abbado alla cui memoria il Teatro Comunale è dedicato. Il ricordo degli olocausti, dei genocidi e dei calvari umani si innesterà sui versi della Via Crucis attraverso un lavoro di ricerca di immagini evocate dalle parole di Luzi. Una visione di sofferenza umana che senz’altro non mancherà in questo theatre-movie riguarda la tragedia in Siria. Ed è lo stesso Placido a svelarne il motivo: «Due domeniche fa sono andato in chiesa e al termine della messa ho preso il quotidiano Avvenire e sono restato colpito dal reportage sulla guerra in Siria, “Una via crucis lunga 10 anni” recitava il titolo in prima pagina. La foto poi del papà disperato con in braccio la sua bambina priva di vita mi ha impressionato. Era l’icona paterna della Passione dolorosa ». In effetti l’umanità di Cristo, il suo strazio, il suo struggimento per questo mondo («Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto. È bella e terribile la terra»), il suo amore per l’uomo («Mi dà pena doverli abbandonare») sono elementi fondanti nel componimento poetico di Mario Luzi che scandaglia in modo penetrante il punto di vista in interiore homine di Gesù Cristo mentre camminava sotto il peso della croce. Questa calorosa prossimità del Verbum caro factum est, di Dio incarnatosi sulla terra, si propaga nel poema di Luzi rendendolo vicino anche alla sensibilità giovanile. E su questo Placido non nutre il minimo dubbio: «I giovani non sono solo quelli che guardano il Festival di Sanremo. Ci sono migliaia di ragazzi che fanno volontariato, che sono lontani da una tecnologia fuorviante ed effimera, per i quali le parole hanno valore e che si nutrono della bellezza della poesia».
Sulla stessa lunghezza d’onda Moni Ovadia, l’artista rabdomante del trascendente, il cantore yiddish e arguto esploratore della cultura e spiritualità ebraica, anch’egli sedotto dall’universalità del valore della Passione: «La Pasqua cristiana, così come il Pesakh per noi ebrei, sono vettori di idee spirituali che varcano i confini del mondo cristiano e influenzano l’intero Occidente. La seconda porta l’idea della liberazione, collettiva e individuale, fisica e interiore dalle catene della schiavitù per accedere alla difficile libertà; la prima attraverso il dramma della Passione sottende e annuncia la Resurrezione la quale apre il solco della redenzione dell’umanità dalla violenza, dall’oppressione degli ultimi, dall’odio». Non resta che approfittare di questo prezioso e affascinante connubio artistico per chiedere a entrambi quale riflessione l’esperienza con la meditazione luziana e più in generale la Pasqua sta innescando nei loro animi: «Celebrare la Pasqua – asserisce Ovadia – significa combattere la desertificazione del cielo operata non tanto dall’ateismo o dal relativismo, quanto da un’ideologia del denaro secolarista che pretende tributi ipertrofici per saziare appetiti insaziabili anche a costo di ri-schiavizzare uomini e natura». È il significato della croce oggi, invece, che sta riverberando dentro Michele Placido: «Le vere croci sono le famiglie, nel senso della vera cruciale sfida da abbracciare. Quando vedo un amico che abbandona la casa, la famiglia, io ci soffro, il suo fallimento è il mio fallimento. Oggi la mia croce e la mia missione è essere un buon padre. Il vero dramma, la vera morte è rifiutare la croce, ignorarla, rimuoverla, negarla».