Tramonto sulla laguna Cuyabeno nell'Amazzonia ecuadoriana - Icp
C’è da dire che sia il titolo sia il sottotitolo di Amazzonia. Viaggio al tempo della fine di Raffaele Luise (Appunti di viaggio, pagine 238, euro 22,00) e persino il sommo nome del prefatore papa Francesco, posto ben in vista quasi al centro della prima di copertina, potrebbe portare un po’ fuori strada rispetto al contenuto dello stesso. Vedendo, infatti, che il Virgilio di questo “viaggio” che l’autore, decano dei vaticanisti italiani, è addirittura il Papa, il potenziale lettore penserà a un testo fatto per un target di cattolici che amino od operino nella foresta più grande del mondo. Oppure che si tratti di un commento a quanto è accaduto di recente con la convocazione del Sinodo sull’Amazzonia o al documento Querida Amazzonia scritto dal Papa a conclusione dello stesso. Ma davvero è tutt’altro.
La prima caratteristica che emerge è quella dello stile: nessuna preoccupazione catechetica ma una prosa quasi poetica che irrompe come musica a scatenare l’immaginazione e – per i lettori avidi di romanzi sin dall’infanzia – la memoria dei libri di Salgari con le loro savane cariche di mistero, d’avventurosi e colorati esotismi. L’Amazzonia di Luise, però, non è la Malesia creata da Salgari – pur se storicamente documentata - ma quella vera e, a dispetto del sottotitolo che dice: “viaggio al tempo della fine” – non ha nulla di apocalittico, è pura come la pioggia equatoriale, bella come il silenzio, luminosa come l’infinito, esplosiva come la giovinezza. La vita di cui pullula non ha dismesso il suo manto d’incanto, nonostante le unghie dei dissacratori fotografate senza ingenuità.
Luise non presenta un’Amazzonia distopica e desolata, come eravamo tutti pronti a pensarla per via delle cronache di report scientifici, delle amare e reiterate denunce di giornali e network, delle cupe profezie delle associazioni ecologiche, e pure degli umori dolce-amari di padri e madri sinodali. Non che Luise non parli anche di tutto ciò, al contrario non manca nessun avviso di tutte le reali situazioni di rapina e rovina in cui si trova il grande polmone della terra. Non glissa sulla violenza sistematica con cui si sventrano giardini edenici e madri indigene, sui veleni che “la civiltà” rovescia sugli elementi dell’aria, dell’acqua e della terra. Non tace sulle innumerevoli – ma sempre più assottigliate - popolazioni indie che ancora credono negli sciamani, e sulla varietà delle loro lingue, vero miracolo di Pentecoste che – per assurdo – i Pentecostali provenienti dagli Stati Uniti, vengono in legioni a cancellare, demonizzandole.
Su tutto ciò prevale, però, un sentimento di stupore, di forza, di passione, di meraviglia per quanto c’è ancora in Amazzonia. Gli occhi di Luise sono pieni della bellezza e della potenza di quel mondo, del suo tremendum e sacro fascino, che è il cuore pulsante non solo dell’umanità ma di tutto il vivente che sente destarsi come un’aurora, come “in principio”, quando uscì dalla bocca del Creatore.
Luise cattura il lettore, riesce ad accendere la sua curiosità con la maestrìa dell’arte narrativa, a incollarlo alle pagine, a farlo immergere con lui nelle acque del Rio ora gialle, ora nere, ora verdi come smeraldo vegetale, ora bianche e azzurrate di spruzzi quando balzano in rapide. L’autore è un cittadino europeo, che viene da Roma e che muovendosi fisicamente in aereo – e spesso con fatica, in tempi di Covid – e poi viaggiando in autobus e quindi salendo su pick up, lance, canoe, e, qualche volta, a nuoto, entra – e fa entrare il lettore - via via, in un percorso anche interiore, nei mille canali che bagnano la grande foresta dell’anima: “Mi sveglio che le prime ombre della sera cominciano a lambire la foresta e il Rio. Guardo fuori, oltre la massa imponente delle acque gialle, alla foresta che corre con noi, interminabile, sempre uguale e sempre diversa, compagna misteriosa di questo viaggio nel cuore del mondo e nella profondità della mia anima e d’improvviso mi sento meno perso in quell’immensità di acqua e di alberi. Quello scenario cosmico mi parlava con più tenerezza e intimità, ora che avevo finalmente capito che per “sentirla” la foresta non dovevo solamente guardarla, ma farmi guardare da lei e mettermi in ascolto con il corpo, la mente e l’anima. Soltanto così, colta nella sua nudità, l’Amazzonia ti appare nella sua verità: irraggiungibile e indefinibile ma al tempo stesso vibrante dentro di te, con il labirinto delle sue vie d’acqua che non lasciano traccia e le distese di luce che abbagliano”.
Nell’attuale temperie formale in cui questo tipo di testi narrativi si esprime, in parte con iper-realismo, con totale disincanto sino al fastidio, oppure con l’assoluta virtualità del fantasy estremo, Luise riesce a far posto a un racconto reale e spirituale, tradizionale ma anche originale, nuovo e davvero avvincente ancorché per nulla gonfiato dalla fantasia ma filato sulla storia che esce dai suoi appunti di viaggio.
La “realtà” complessa e drammatica dell’Amazzonia, pur presa nelle cieche trame di un’ecologia globale che tutto il mondo conosce, riesce ad apparire, però, come un eden ancora da esplorare, ancora carico di una vitalità che insorge e si abbatte dalle cateratte della terra e dei cieli. Dove il Fiume è signore e, mimetizzato nell’intrico di una giungla che “nasconde le orchidee più belle delle quindicimila specie che abitano l’Amazzonia”, striscia, come superbo custode, il serpente: l’anaconda e il cobra. Un mondo davvero ‘mitico’ che ancora sembra sottrarsi al controllo e al possesso degli umani. Il libro conduce, quindi, attraverso strati di rilievi naturalistici e antropologici in un viaggio psicologico ma anche intellettuale; i rimandi al pensiero di Nietzsche, di Pavese e, soprattutto di Raimon Panikkar sono illuminanti e saranno graditi ai lettori che amassero sfruttare anche un diario di viaggio per una riflessione penetrante, di carattere filosofico e teologico.
E veniamo, infine, al rapporto di Amazzonia con la Chiesa cattolica quindi non solo con Querida Amazonia ma anche con altri documenti pontifici come Laudato si' e Fratelli Tutti. Anche qui c’è una piacevole sorpresa: ci si aspetterebbe di sentire soltanto le reazioni della Chiesa amazzonica agli esiti – non proprio entusiastici – del Sinodo da parte dei tanti Vescovi, missionari e missionarie, che lì spendono gli anni, le lotte e le speranze. Ma Luise trasmette prima di tutto, la freschezza, la passione, la determinazione, il coraggio, la sapienza, con cui tanti laici e laiche, suore, sacerdoti, religiosi – gesuiti e salesiani in specie – tra cui tanti di origine italiana, “remano” ogni giorno il Vangelo per la gente e la terra d’Amazzonia. Fantastica la loro accoglienza e compagnia che ha permesso all’autore di visitare l’area per circa due mesi e di raggiungere anche i villaggi indigeni “proibiti” nel cuore della foresta. Sono essi i veri “eroi” di questo viaggio d’avventura, insieme agli indigeni che lottano per la salvaguardia dell’intera regione. Il prezioso dialogo interculturale inizia con loro, nella loro amicizia, nella stima reciproca, nel lavoro che programmano e svolgono insieme e che va dal sopperire ai bisogni primari – il cibo, la salute, la scuola – al fare progetti economici, culturali, politici di promozione degli abitanti della grande foresta e di resistenza a chi porta devastazione materiale e morale. E nei confronti di quelle etnie che restano chiuse e ignote, del “misterioso indio del buraco” li sentiamo dire: “Non essendo possibile alcun contatto diretto con loro, il nostro lavoro consiste innanzitutto nel dar visibilità, nel dire al mondo che questi popoli esistono”.
Tra tante persone in prima linea c’è Socorro Papoula, una figura affascinante che fa parte dell'Associazione delle donne dell’Amazzonia, fondata nel 1978, uno dei movimenti più antichi di difesa della cultura india, associati al Forum Sociale Panamazzonico. La sua testimonianza si conclude con un appello: “la nostra unica arma è quella di denunciare le aggressioni, non solo quelle dei militari ma anche quelle dei garimpeiros, che hanno portato il narcotraffico, la diffusione dell'alcol, la prostituzione e, da ultimo, il commercio di bambini per lo sfruttamento sessuale (…). Con la distruzione dei popoli originari e della loro giungla, l'umanità perde una parte importante di sé stessa e perdiamo una terra meravigliosa, che custodisce una immensa e irripetibile sapienza ancestrale. L'Europa si faccia parte della difesa della foresta amazzonica e del riscatto dei popoli indigeni”.