La proiezione di
The Tree of Life di Terrence Malick in competizione ieri a Cannes, si è appena conclusa e un collega ci chiede: «Ma la gente normale, quella che paga il biglietto, lo capisce questo film?». Forse no, tant’è che persino una bella fetta della critica internazionale ha accolto con una bordata di fischi la pellicola più attesa del ieri Festival, la Palma d’Oro annunciata. Niente di strano, intendiamoci, Malick è fatto per dividere. Ma in conferenza stampa lui non c’è («impegni di lavoro», dicono i produttori), e non c’è neppure Sean Penn, infuriato, si dice, per un montaggio che avrebbe molto ridimensionato e sbiadito il suo ruolo. Decisamente troppo ambizioso, frutto di lunghi rimaneggiamenti e ripensamenti, il film tuttavia ha il coraggio di innalzare al cielo un inno alla vita in un festival dominato dalle cupe visioni di un mondo occidentale in decadenza e di affrontare il trascendente, le grandi domande dell’uomo, un uomo visto nel suo intimo e nella dimensione cosmica. Con un andamento antinarrativo, quasi impressionista, affascinante proprio per la sua natura imperfetta e magmatica, il film racconta infatti il viaggio esistenziale di una famiglia texana degli anni Cinquanta vista con gli occhi del figlio maggiore, Jack, che da grande avrà il volto di Penn.Ancora una volta Malick racconta un paradiso perduto insieme all’innocenza dell’infanzia e mette a confronto natura (incarnata da un padre severissimo – Brad Pitt – talora violento, teso esclusivamente alla sopravvivenza) e la grazia (di cui si fa portatrice la madre – Jessica Chastain – che predica l’amore e il perdono). La famiglia conoscerà il dolore della perdita di un figlio, che muore a diciannove anni, ma noi vediamo solo ciò che accade prima e dopo il tragico evento, destinato a scatenare uno struggente bisogno di risposte. Una volta cresciuto, Jack è un’anima inquieta persa in un mondo dove gli alberi sono stati sostituiti dai grattacieli, e Dio sembra assente. Ma un’improvvisa visione che riunisce in una sorta di dolce limbo i vivi e i morti e dove sua madre diventa la Vergine Maria che offre suo figlio in dono a Dio, restituirà all’uomo la via di una riconciliazione tra natura brutale e grazia spirituale. L’immagine di un ponte alla fine del film parla da sé e si aggiunge alle tante citazioni bibliche sparse in tutta la pellicola. La parte più debole del film è invece quella che racconta per almeno venti minuti la Creazione, a partire dal buio, da qualche bagliore, per proseguire con il Big Bang, i dinosauri e infine la nascita dell’uomo, tra
2001 Odissea nello spazio, Fantasia e
Jurassic Park.Pochi applausi imbarazzati in conferenza stampa per Brad Pitt, interprete e produttore del film, in arrivo domani nelle sale italiane. «L’idea di Malick era di catturare ogni giorno ciò che accadeva spontaneamente sul set a partire da indicazioni di sceneggiatura molto scarne. Abbiamo molto discusso dei temi spirituali trattati nel film, temi universali capaci di parlare a tutte le culture e a tutte le età. Terrence è un uomo estremamente colto, studioso di filosofia e di religioni. L’impermanenza della vita, la necessità di accettare la morte sono al centro del film così come la necessità di riconoscere quanto poco funzioni il sogno americano, il benessere materiale quando si perde di vista la dimensione più trascendente dell’esistenza. Sono cresciuto in una comunità cristiana e le domande che si pongono i personaggi del film sono le stesse con cui mi sono confrontato da bambino». «Questo film è una poesia – aggiungono i produttori – e, ne siamo sicuri, risveglierà la spiritualità che è in ognuno di noi».