Negin Khpalwak, musicista e direttrice d'orchestra
Negin Khpalwak ha poco più di vent’anni ed è la prima direttrice d’orchestra donna in Afghanistan. La direzione d’orchestra, anche nel nostro Occidente teatro di tante battaglie femminili, rimane un ambito fortemente maschilista, in cui la sproporzione fra i due sessi è molto marcata e difficile da superare. Sognare di essere direttrice d’orchestra in un contesto come quello afghano, in cui i talebani, fino a non molti anni fa, proibivano espressamente la musica, e le donne giravano in burqa integrale, sembra davvero un sogno irrealizzabile. Non la pensa così Negin, che non solo crede fermamente nel suo sogno artistico e professionale, ma vuol farne un’importante occasione di crescita e liberazione per le donne del suo Paese.
Nata in Pakistan, quando ha due anni si trasferisce in Afghanistan con la famiglia, sotto il regime talebano. Alle bambine era riservata un’istruzione elementare, finalizzata essenzialmente ai doveri religiosi: «Andavo in moschea, imparavo la lingua afghana e studiavo un po’, ma la scuola era soprattutto per i maschi: le ragazze dovevano stare a casa». Deciso a dare un futuro diverso alla figlia, il padre di Negin decide di farla accogliere in un orfanotrofio di Kabul, in cui, così egli spera, potrà ricevere un’educazione migliore. «Ho iniziato la scuola a nove anni. L’anno dopo è venuto da noi il preside, dicendoci che a Kabul c’era una scuola di musica, e se c’era qualcuno che voleva fare l’esame di ammissione. Io ci ho provato, senza dire niente ai miei genitori, e anche se non avevo mai visto uno strumento musicale: mi piaceva però tanto cantare».
Mentre Negin si trova in vacanza, dai suoi, telefonano dall’orfanotrofio: la bambina è stata ammessa alla scuola di musica. La famiglia reagisce assai negativamente alla notizia: i sacrifici per farla studiare a Kabul erano stati affrontati con l’idea che Negin potesse diventare dottoressa o insegnante, non certo musicista. Solo il padre le dice: «È la tua vita, ami la musica, l’hai scelto: è il tuo futuro, non il mio, e quindi vai».
Così, nel 2010, Negin comincia gli studi musicali; l’orchestra dell’istituto si esibisce spesso nelle ambasciate di Kabul, in occasione di eventi importanti, e sovente viene ripresa al telegiornale. «Quando tornavo a casa per le vacanze – racconta Negin – tutti mi erano ostili perché mi avevano vista in televisione. Pensavo che mi avrebbero uccisa, per cui facevo sempre dire che non ero in casa, e poi ho chiesto di tornare a Kabul in anticipo».
Da allora, e per tre anni, Negin trascorrerà le vacanze in istituto, senza vedere la mamma. La sofferenza della lontananza e la paura non bastano però a distogliere Negin dal suo proposito, di cui comincia a scorgere le implicazioni non solo artistiche, ma anche sociali: «Se io fossi rimasta a casa non avrei potuto fare musica. Ma qualcuno deve crescere e combattere per i diritti delle nuove generazioni; dobbiamo aprire noi per loro le porte del futuro. Io scelgo la musica: è la mia vita, potete anche uccidermi ma non lascerò mai la musica». Quando finalmente torna a casa, gli zii praticamente la sequestrano per sei mesi, impedendole di tornare a scuola e di uscire di casa: «Mio padre era in Tagikistan per lavoro e non poteva difendermi; mi stavo ammalando, pensavo alla musica, alla scuola, dicendomi: ecco, a quest’ora avrei lezione di questa materia, adesso c’è lezione di quest’altra…».
Al suo ritorno, il padre si rende conto della sofferenza di Negin: «Decise che dovevo tornare alla mia scuola e continuare, perché vedeva che non potevo vivere senza la musica. All’istituto di musica, allora, c’era un’insegnante statunitense che ha intuito quanto mi sarebbe piaciuto dirigere, così mi ha proposto di provarci. Io non volevo perché sapevo quant’è difficile, ma lei mi ha incoraggiata: provaci, se ti piace! Io me ne sono innamorata, ma capivo che era una carriera senza futuro per me». L’insegnante, tuttavia, la spinge: «Io ti insegnerò i rudimenti», promette. «Poi vedremo cosa si potrà fare per te».
Negin prende la bacchetta: «Stavo davanti ai musicisti: mi sembrava di volare, era straordinario. Amavo dirigere, e volevo diventare una brava direttrice per il mio Paese». Pian piano, Negin dà forma alle sue speranze: «Adesso il mio desiderio è creare un’orchestra sinfonica per il mio Paese, e so che se lo voglio davvero riuscirò a farlo. Niente è impossibile: persino i miei zii hanno cambiato idea. Dopo un tour in Europa della nostra orchestra, i miei zii hanno capito che non faccio niente di male: suono solo la musica classica. Adesso sono orgogliosi di me».
Negin, tuttavia, non si fa illusioni: «Altre persone, a Kabul e non solo, odiano la musica e pensano che sia peccato. A me però non importa: ho promesso a me stessa che combatterò. Nel 2010 c’erano solo dieci ragazze alla scuola di musica; adesso sono un centinaio. Noi dieci abbiamo aperto una strada e fatto sì che altre famiglie scegliessero la musica, che è un linguaggio, è amore, è vita. Con il linguaggio della musica voglio parlare dei diritti umani: da noi non se ne può discutere a parole, dicono che non ha senso; ma se suoni una musica o una canzone, capiranno».
Con la freschezza dei suoi vent’anni Negin vuole provare a cambiare radicalmente il suo Paese: «Adesso studio via Skype con degli insegnanti in Europa, guardo tanti video di direttori d’orchestra su YouTube, ma non è sufficiente. Se qualcuno mi aiuta e me ne dà la possibilità, studierò all’estero per poi tornare in Afghanistan e crearvi un’orchestra sinfonica; voglio anche aprire una scuola di musica, e lavorare per il mio Paese e per tutto il mondo». Il suo messaggio è chiaro: «Voglio dire ai genitori afghani di permettere alle loro figlie di studiare, di scegliere il loro futuro: devono scegliere cosa è meglio per loro. Per favore, fatele studiare: sono esseri umani, hanno una vita… Siamo tutti umani, musulmani o no, uomini o donne: questo è il mio messaggio». E, tramite la musica, Negin vuole far correre questo suo messaggio in tutto il mondo.