Il giardino dei sogni Un albero. E molto di più. O per certi versi molto di meno: ridotto all’essenziale, all’emozione che suscita. È indubbiamente l’immagine di un albero quella che ci troviamo davanti osservando le fotografie di Irene Kung, ma forse non lo è. Parafrasando René Magritte e la sua pipa, potremmo dire che «questo non è un albero»: è quello che trasmette, è la fioritura dei sentimenti e degli stati d’animo. La fotografa svizzera ci colpisce con
Trees (Contrasto, pagine 95, euro 45,00). «Nel mio modo di lavorare – dice l’artista – è possibile riportare l’albero a quello che ho sentito. Il mio lavoro consiste proprio in questo: tolgo ciò che non è essenziale per fare vedere l’albero com’è, come lo sento. È intuizione, è irrazionale: il razionale ci può portare fuori strada, il sentimento no». Ed ecco alberi in una dimensione onirica, metafisica, irreale. Lo stile della Kung si riconosce subito. Ci aveva già stupiti con lo spazio urbano misterioso e silenzioso della
Città invisibile (nello spirito di Italo Calvino, «le città come i sogni») dove a prevalere è più il «vuoto». Luoghi familiari, perché i monumenti sono riconoscibili, ma con un approccio sorprendente. La Torre Velasca e il Duomo di Milano, l’Empire State Building di New York o Castel Sant’Angelo a Roma sono immersi in scatti che descrivono luoghi senza tempo, così come non li abbiamo mai visti: assumono una connotazione magica, enigmatica, nella potenza del bianco e nero. Lo stesso avviene adesso – ma a colori – con gli alberi,
Trees. Perché gli alberi? «Innanzitutto è un tratto di “rottura” con la rigidità delle linee dell’architettura. E poi c’è una spiegazione più profonda: l’albero è il simbolo della natura, è un’immagine sacra. Come scriveva Hermann Hesse nel
Canto degli Alberi, “per me gli alberi sono sempre stati i predicatori più persuasivi”. Gli alberi da frutto sono simboli di produttività, salute, fertilità e rappresentano un’immagine positiva in questo momento di crisi, di tensioni e di difficoltà. Mi dà sollievo vedere gli alberi, la natura che fa il suo corso: le stagioni, i fiori, i frutti. Negli alberi c’è il ciclo della vita, del tempo. Ci sono tutti i nostri sentimenti. La natura diventa in qualche modo un rifugio, il seme da cui ripartire». Per dirla con Bruno Munari: «L’albero: l’esplosione lentissima di un seme». Il “giardino delle meraviglie” di Irene Kung è di una bellezza avvolgente, ci porta in dimensioni altre e alte. Ci trasmette la potenza della natura, senza distorsioni, senza distrazioni, senza rumori. C’è la pianta e nient’altro intorno. Dagli ulivi della Puglia e della Grecia alle palme dell’Egitto, dai meli della Svizzera ai limoni e ai fichi della Sicilia. Quaranta tipi di alberi, secolari e non. Ci sono piante verdi e rigogliose, altre più spoglie o innevate. Alberi che trasmettono solarità e vitalità e altri che ci segnano per la tristezza o la malinconia. «Io fotografo quell’albero in quel momento. Non nel suo essere, ma per quello che ho sentito, che mi suscita, che mi trasmette. Così il ritratto di un albero è da una parte preciso e fedele, ma dall’altra è onirico, come lo immagino». Kung inizia come pittrice. Un approccio che non dimentica. Volutamente. D’altra parte, rispetto a chi interpreta la fotografia come «fotogiornalismo o racconto», per lei è «chiaramente arte, arte astratta». «Penso che l’artista debba dare al pubblico quello che il pubblico non ha, e quindi il compito di un artista contemporaneo è quello di far sognare le persone attraverso un messaggio positivo e intimo». Così anche l’etichetta di fotografa le si attacca in maniera piuttosto labile. «Non c’è un nome per quello faccio. Io ero pittrice. Ho aggiunto la macchina fotografica come strumento per creare immagini. Lavoro moltissimo sulla luce. E lo faccio con un pensiero pittorico». Una pittrice-fotografa delle espressioni dell’anima. Le foto di Kung sono anche un acrobatico esercizio di tecnica, di attesa, di luce, e un attento lavoro di elaborazione, foritocco e postproduzione. Fotografie, o quadri, fate voi, che fanno i conti con difficoltà oggettive: «Questi alberi hanno un momento preciso in cui sono perfetti, e bisogna trovare gli esemplari singoli che non facciano parte di frutteti o non siano disposti a ringhiera. E poi cambiano da stagione a stagione con risultati ed espressioni assai diverse. Senza contare la luce, che cambia sempre, ogni momento della giornata». Di fronte al boom della fotografia “usa e getta”, le sue foto così “meditate” sono sicuramente una sfida. Ma la Kung non critica il successo, gli eccessi o l’abuso della fotografia di oggi: «Nella fotografia digitale tecnicamente si possono fare molte più cose e anche molto interessanti. E sono tutte da esplorare. La fotografia si presenta con tante facce. Non esclude la buona fotografia. E se ci sono eccessi di chi vive di selfie, i buoni fotografi e le loro buone fotografie rimangono». Per accendere l’emozione di chi le guarda, raggiungere il cuore delle persone. Già, le persone. Quelle che nella fotografia di Kung non ci sono, almeno visivamente. «Prima o poi mi dedicherò alle persone – confida –. Sempre con un approccio onesto, che parta da quello che sento dentro di me». Ma anche senza l’uomo, nelle sue fotografie – siano monumenti o alberi – c’è molta umanità. C’è un cuore che batte. E il sogno. «Il sogno ci fa raggiungere le grandi mete e ci aiuta in momenti di difficoltà. Credo che attraverso il sogno si arrivi meglio all’essenza dell’oggetto». No, l’albero non è un albero. È “solo” la forma dei sogni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fotografia L’ultimo lavoro dell’artista svizzera s’intitola “Trees”: «Riporto l’albero a quello che ho sentito, all’essenziale», ritratto in una dimensione onirica È un messaggio «di positività e fertilità rispetto alla crisi» MELO BIANCO. Sono quaranta i tipi di alberi ritratti
(© Irene Kung) ULIVO. È l’immagine di copertina di “Trees”
(© Irene Kung)