Il maestro organista olandese Ton Koopman
«È uno strumento meraviglioso per il suono che ha, per quanto è bello da vedere, per la collocazione». Ton Koopman, l’organista, clavicembalista e direttore d’orchestra olandese tra i più importanti artefici della rinascita del repertorio barocco europeo, torna a L’Aquila oggi per inaugurare la nuova vita di uno dei monumenti dell’arte organaria italiana: il grande organo, finalmente restaurato, della chiesa di San Bernardino Lo strumento è stato costruito nel 1725 da Feliciano Fedeli, esponente di spicco di una dinastia marchigiana, forse di origine veneziana, di organari eccellenti. Posto in controfacciata di fronte all’altar maggiore, è regalmente inserito nell’architettura barocca dell’interno della basilica, la cui facciata è esempio massimo del Rinascimento abruzzese. Fortemente danneggiata dal terremoto del 2009, San Bernardino è stata riaperta nel 2015. Passo dopo passo, con lentezza e tenacia, la città tenta di ritrovare se stessa. Koopman suonerà gratuitamente. Il concerto, promosso dalla Società dei Concerti Barattelli, storica e nobile realtà cittadina, fa parte di una rassegna organistica che intende avviare una raccolta fondi per completare il restauro del grande organo secentesco della Basilica di Santa Maria di Collemaggio.
Maestro, lei inizia il programma con brani di Jan Sweelinck e di Georg Böhm, compositori che il pubblico italiano frequenta poco. Perché questa scelta?
Ho voluto rendere omaggio al mio compatriota Sweelinck, uno dei maestri della musica barocca, nel quarto centenario della sua morte. Böhm è stato uno degli insegnati di Bach, che grazie a lui ha scoperto la musica di Dietrich Buxtehude. E’ un programma pensato per creare collegamenti tra diversi musicisti europei.
Come quello che lei propone tra un concerto per oboe di Alessandro Marcello e la trascrizione per organo che ne fa Bach. Dopo oltre mezzo secolo di frequentazione con Bach, la sua musica e il suo tempo, si è chiesto quanto ancora non conosciamo di lui?
Sappiamo ancora pochissimo di lui, della sua famiglia, soprattutto di suo padre. Dobbiamo ancora trovare le lettere in cui parla della sua vita e dovremmo impegnarci per conoscere qualcosa di più riguardo i suoi aspetti umani.
Quali ulteriori contributi può portare una migliore conoscenza biografica alla valutazione della sua musica?
Essere informati meglio sulle sue vicende biografiche consentirebbe di approfondire il momento della formazione della sua personalità e delle sue idee come compositore.
Può darci un’immagine delle condizioni di lavoro di Bach?
Sappiamo che nella Thomaschule di Lipsia Bach e la sua famiglia vivevano accanto alle aule e ai dormitori dei convittori. Immagino che si dovessero ben sentire le voci, il chiasso, anche la confusione di tanti ragazzi. In queste condizioni lui doveva insegnare, scrivere, provare ed eseguire musica. E musica sempre nuova.
Che idea si è fatto dei suoi ritmi compositivi?
Erano inimmaginabili rispetto a quelli di un compositore nostro contemporaneo, ma anche dello stesso Beethoven, che nasce vent’anni dopo la sua morte. Basta osservare la quantità di opere prodotte: ai tempi di Bach era normale arrivare ad oltre mille lavori! Era la condizione sociale del compositore ad essere diversa e questo ci obbliga a riflettere sul rapporto di Bach con quella che chiamiamo ispirazione.
Ispirazione e traspirazione, arte e fatica, ogni giorno?
Stiamo parlando di un artista che paragono, per potenza e vastità di invenzioni, a Leonardo da Vinci e a Michelangelo. Ma stiamo anche parlando di un lavoratore della musica che doveva produrre a ritmi vertiginosi. C’erano degli schemi, degli standard di riferimento, tipici dei compositori barocchi, c’era la risorsa dell’autoimprestito, alla quale ricorre numerose volte. Ma c’era anche la fucina rappresentata dagli allievi, dagli stessi suoi figli musicisti, dalla tanta musica che avidamente leggeva e studiava. Studiare i colleghi europei, gli italiani, i francesi, gli inglesi, aveva per lui anche un riscontro pratico. Naturalmente non sto dicendo che 'co- piava' da questi musicisti, ma certamente se ne nutriva.
Come viene suonato Bach oggi? Meglio o peggio di quando lui era in vita?
Molto meglio. Sarebbe felice se potesse ascoltare la sua musica suonata da musicisti quasi sempre migliori degli studenti o dei dilettanti dei quali lui si doveva servire. I suoi strumentisti suonavano quasi soltanto la sua musica. I musicisti di oggi hanno un repertorio molto più vasto e questo è un arricchimento, ma può anche portare a delle distrazioni verso la specificità della musica bachiana.
Nei suoi scritti, nelle sue lezioni lei spesso si riferisce allo «stile fantastico». Può definirlo?
Nel concerto a L’Aquila suonerò anche musica di Girolamo Frescobaldi, che considero l’inventore dello stylus fantasticus, un modo di suonare pensato anzitutto per divertire, stupire, sensibile al virtuosismo. Una musica che deve essere interpretata con grande varietà di approccio, ad esempio il più velocemente, oppure il più lentamente possibile. Sono aspetti che hanno influenzato Bach, molto sensibile alla fantasia e alla ricchezza timbrica della musica italiana, di Vivaldi soprattutto.
Tra le più prestigiose sale da concerto, quella dell’Auditorium del Parco della Musica di Roma è una delle poche a non avere l’organo. È un limite. Si può rimediare?
Quella sala ha bisogno dell’organo e c’è lo spazio per metterlo. Anzi, dovrebbero essercene due, uno più piccolo per la musica barocca e uno più grande per il repertorio sinfonico romantico.