sabato 22 giugno 2024
Applaudito alla Biennale Teatro con “Blind runner”: per fuggire dal regime due maratoneti cercano di raggiungere l’Inghilterra correndo nel Tunnel della Manica
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Una corsa per la libertà a cavallo tra Iran ed Europa dove si mescolano i prigionieri politici, la protesta delle donne iraniane e le contraddizioni dell’Occidente sui migranti. Questo il nucleo dell’asciutto, potente e poetico Blind runner (Maratoneta cieco) nuovo lavoro di Amir Reza Koohestani, applauditissimo al 52mo Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia che si concluderà il 30 giugno. Una coproduzione internazionale che vede, fra gli altri, anche Triennale Milano teatro e Festival delle Colline Torinesi – Fondazione Tpe.

Koohestani è uno dei più importanti registi iraniani con il suo Mehr Theatre Group fondato nella natia Shiraz nel 1996 e dal 2016 basata in Francia. Lui, che ha studiato a Manchester e vissuto a Teheran fino al 2015, oggi vive a Berlino e lavora in mezza Europa facendo la spola con l’Iran dove prova con i suoi attori, proponendo spettacoli sempre più orientati al confronto fra Oriente e Occidente. In Blind runner, scritto e diretto dal regista, vediamo una donna e un uomo in un carcere, sono moglie e marito (i misuratissimi attori iraniani Ainaz Azarhoush e Mohammad Reza Hosseinzadeh). Lei è una prigioniera politica a causa di un post sui social, lui va una volta alla settimana al colloquio controllato da cimici e telecamere, fra silenzi, censure e sofferenze crescenti. La donna è una maratoneta e chiede al marito di allenare una giovane atleta cieca per la corsa di Parigi. Quest’ultima, diventata cieca a causa di un colpo di pistola della polizia durante una manifestazione, però gli propone di attraversare di corsa il tunnel della Manica in cerca di libertà, rischiando la vita, anche per tanti migranti rifiutati dalle nuove leggi restrittive anglosassoni.

Maestro Koohestani, come riesce a lavorare tra l’Europa e l’Iran?

Cerco di fare da ponte nei miei lavori più recenti. Per esempio dirigerò a ottobre in Svezia The documentary una pièce su una coppia, lui svedese e lei iraniana, che per capirsi deve parlare inglese. Uso la vita privata come metafora di una questione politica, come persone che arrivano da differenti background possano convivere. Ci sono anche alcuni temi relativi all’Iran, ma non vivendo più lì lo racconto da osservatore esterno, anche se al tempo stesso non sono uno straniero. Sono una persona in mezzo. Ma anche nei tempi più oscuri ho sempre cercato un modo di lavorare. Ci sono naturalmente delle restrizioni politiche in Iran, ma sarebbe ingenuo pensare di aspettare di avere una libertà totale e intanto stare a casa a leggere libri.

La corsa come simbolo di libertà: cosa c’è di autobiografico?

Nell’inverno del 2009 in Iran il Movimento Verde (che protestava contro la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad, ndr) si era ormai disperso dopo che il governo aveva risposto alle manifestazioni con il fuoco e le persone avevano perso fiducia nella possibilità di un cambiamento. Così mi sono messo a correre: era un bisogno, il miglior modo per resistere e non deprimermi a casa, per muovermi ma al tempo stesso avere la mia solitudine.

L'ispirazione della maratoneta deriva dalla carcerazione di Niloofar Hamedi, la prima giornalista che raccontò la morte violenta di Masha Amini a causa del velo mal messo?

Sì, ma non volevamo menzionare il suo nome perché non conosco la sua relazione col marito. Loro due erano dei maratoneti e quando lei era carcerata il marito organizzò diverse maratone di protesta per la liberazione della moglie e di altre donne. Ma non si tratta di una biografia o di un documentario bensì di un lavoro che parla non solo dell’Iran, ma di tutto il mondo.

Quel reportage ha scatenato una rivolta sociale al grido “Donna, vita, libertà” raccolta anche a livello internazionale....

È importante perché per la prima volta un movimento femminista stabilisce chiaramente che non è solo un movimento femminile. Anche io ho realizzato come uomo che io non posso raggiungere la libertà se il resto della società, le donne e le minoranze non sono libere e lo hanno capito anche molti uomini in Iran. In Blind runner l’uomo all’inizio si lamenta con la moglie per le sue scelte che hanno mandato all’aria la loro vita, poi ma man mano comprende che non può raggiungere la sua libertà senza pagare un prezzo, senza rischiare nulla. Per questo nella scena finale ci sono un uomo e una donna che si tengono per mano correndo nel tunnel. E poi questo movimento parla di “vita” e non di morte. Dalla prigione Niloofar lanciò una campagna per i prigionieri politici facendo il saluto al sole ogni mattina alle 8 in prigione e la gente cominciò a farlo contemporaneamente fuori dalla prigione: così è diventato un movimento collettivo. La libertà non la conquistiamo restando a casa.

Lei denuncia anche la situazione degli immigrati che, dice, fuggono dai loro paesi governati da dittatori sostenuti dall’Occidente o dalla povertà mentre l’Europa non vuole prendersi responsabilità di aiutarli.

Denuncio l’ipocrisia. Tutti i politici occidentali dicono di supportare le dimostrazioni in Iran e le donne che lottano per la libertà, ma al tempo stesso le loro industrie vendono fucili a quei Paesi, le stesse pallottole che rendono ciechi e feriscono i dimostranti non sono fatte in Cina ma in Europa. Gli europei non vogliono che arrivino i migranti, ma i loro governi supportano governi oppressivi in Africa e in Medio Oriente. Gli europei non vogliono che arrivino i migranti e mandano navi a fermarli, ma se gli stati spendessero i soldi che impiegano a costruire muri a migliorare le loro vite, tutti sarebbero contenti di stare a casa propria. La maratoneta cieca, a cui viene tributata una medaglia al coraggio e che potrebbe essere accolta a Parigi come “immigrata privilegiata”, decide di rischiare la vita per svelare l’ipocrisia delle nuove regole sull’immigrazione inglesi: se io arrivo attraverso il tunnel mi deporterebbero nel Paese che mi ha reso cieca?

Cosa ne pensa della situazione dopo le ultime elezioni europee?

Per me lottare per la libertà non è solo compito di chi vive in Paesi oppressi. In Europa cresce la destra, tutti abbiamo il dovere di combattere l’avanzare del fascismo. Blind runner è un dramma sulla resistenza, sul combattere per la libertà ovunque, non solo in Iran, affinché la gente reagisca e rischi per fare cambiare ai governi conservatori le loro politiche conservatrici.

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