martedì 31 agosto 2010
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Qualche anno fa, in una delle non frequenti interviste concesse, Liliana Cavani aveva confessato di essere stata abituata sin da piccola a immaginare che le cose impossibili siano meno impossibili da realizzare di quanto si ritenga comunemente: che si può fare, o, almeno, che si deve tentare. In effetti, gli elementi che più caratterizzano l’opera della regista carpigiana, e che l’hanno fatta apprezzare da critica e pubblico nel corso di una lunga carriera artistica ancora aperta, sono in primo luogo la capacità di pensare in grande, l’estremo rigore professionale e la severa tensione intellettuale. Un cinema di idee, il suo, che ha prodotto nel tempo una galleria di figure clamorosamente fuori del coro nel loro tempo e nel loro ambiente: dal Galileo cultore a testa alta della laicità del sapere al mistico Milarepa alla ricerca di se stesso; dall’ex nazista Aldorfer, protagonista de Il portiere di notte, di cui Primo Levi discusse nel suo I sommersi e i salvati, al filosofo della crisi Nietzsche in Al di là del bene e del male; e poi, su tutti, naturalmente il santo-poeta del Cantico delle creature, su cui l’autrice si è dedicata – evento più unico che raro – in ben due film, quello d’esordio, Francesco d’Assisi (1966) e poi il Francesco con Mickey Rourke del 1989. Vorrebbe dirci qualcosa delle sue prime relazioni con la dimensione religiosa dell’esistenza? Ha ricevuto un’educazione religiosa? Se sì, che cosa le ha lasciato a vari anni di distanza?Per rispondere alle sue domande servirebbero volumi, o tante ore di pensiero. Ma in questo caso devo dire che sarebbero volumi e pensieri di incertezze, di illusioni e di speranze lanciate nello spazio. Essendo donna, infatti, non ho sempre trovato nelle religioni un’accoglienza aperta, completa. Anzi! Nella storia della Chiesa l’eccezione è proprio Francesco, che elegge a musa di saggezza la ragazza Chiara sapendo di non sbagliare. Pensiamo ad esempio al comandamento biblico che esorta a non desiderare la donna d’altri, la casa d’altri, e così via... Non si dice anche: non desiderare l’uomo d’altre... Insomma, la donna, a partire dalle Scritture, è considerata alla stregua della roba necessaria al maschio. I comandamenti in sostanza sono rivolti agli uomini. Non anche alle donne! Il genio femminile, che esiste da sempre ed è tanto, non ha pari ospitalità nei testi sacri, peraltro scritti e trasmessi da uomini. Non mi si risponda che Maria però è al centro di una grande devozione, e via dicendo. Questo lo so, ma avviene solo in quanto scelta come madre dell’Incarnato, e quindi c’è più l’esaltazione perpetua della maternità e della sua persona. Liliana va avanti. Il tema, evidentemente, lo sente molto. A fine dell’anno scorso, il 27 dicembre 2009, ha firmato insieme alla storica Emma Fattorini un appello, comparso su «Il Sole 24 ore», con l’auspicio che la Chiesa si risolva a dedicare un Sinodo al tema delle donne. Appello che ha suscitato un discreto dibattito, anche per l’autorevolezza delle due promotrici. L’intervista sta diventando monografica, sulla questione femminile nella Chiesa...Mi chiedo pacatamente, ma anche consapevole che si tratta di una domanda radicale: perché le diverse componenti che animano la Chiesa, divise su tanti aspetti, hanno però in comune uno stupefacente silenzio sulla donna? Un richiamo stanco e di maniera, frutto più di rivendicazioni esterne che non di una convinzione vera, quale sarebbe logico di fronte a un così evidente segno dei tempi? Le ragioni sono tante e come sempre quasi tutte dettate da paura... In sostanza, Maria chi era? Il dato di fatto è che, nei testi religiosi, la donna non è mai persona alla pari dell’uomo. Io ho avuto la ventura di essere cresciuta in una famiglia atea, e in casa la donna aveva pari dignità dell’uomo, come si usa dire oggi. Sono cresciuta come persona completa alla pari e a tutti gli effetti. Per me è sempre stato naturale sentirmi persona a tutti gli effetti, e penso che questo sia stato il mio punto di forza. Avevo il diritto di essere me stessa e sentivo questa cosa con naturalezza, senza essere femminista. Al tempo della mia formazione ho conosciuto, devo ammettere, donne religiose straordinarie (prima su tutte Romana Zelocchi), pur se coscienti di non avere "pari opportunità" (come si dice oggi): ma nessuna, tuttavia, che desiderasse fare la sacerdote. Non è questo, infatti, il punto centrale: però la pari dignità sì. La donna non nasce per servire gli uomini, ma per realizzare la compiutezza della sua originale persona, che diventi madre o non lo diventi. Esattamente come l’uomo». Da questo punto di vista, cosa pensa della situazione della fede cristiana oggi, in una stagione di grandi cambiamenti?Simone Weil scrisse saggiamente che occorre ripensare da capo la nozione di fede, in tutti i sensi. Concordo in pieno! Può darsi che i responsabili di una Chiesa che vuole essere universale (cioè cattolica, etimologicamente) riescano in un non lontano futuro a comprendere che non hanno dedicato a mio parere il tempo e l’attenzione necessaria a capire la creatura donna, e di conseguenza non hanno potuto averne la comprensione che hanno avuto per gli uomini. Spero che si possa capire a fondo il mistero di Maria, e che senza la collaborazione della sua sapienza nulla sarebbe accaduto... Probabilmente, la paura del soggettivismo-relativismo rischia di farci perdere la ricchezza spirituale che c’è nell’entrare in contatto con il Signore anche con il corpo, con le emozioni, con tutta la propria persona e non solo con la testa, non solo con il pensiero. E così si perde quell’unità della persona che deve unificare e non separare le diverse esperienze umane. Di conseguenza, preferisco rinviare la risposta alle domande su fede, religione e Bibbia al momento nel quale potrò parlare della ricchezza dello Spirito che è sopra al mondo di tutte le creature, quale che sia il loro genere». Torna alla mente un passo dell’appello Cavani-Fattorini sopra citato, in cui si sostiene che «non trarre tutte le conseguenze pratiche di come il genio femminile possa agire nel mondo non solo impoverisce la Chiesa cattolica, ma finisce con il tradirne la sua stessa vocazione di civilizzazione; il ruolo della donna infatti è oggi e sarà sempre di più il cuore dei grandi cambiamenti di tutte le culture del mondo, la cartina di tornasole dei loro processi di democratizzazione e di umanizzazione». Ma anche le parole del cardinale Paul Poupard in occasione del conferimento alla Cavani di una laurea honoris causa in Scienze della comunicazione alla Lumsa di Roma, quando definì la sua opera cinematografica «umanistica, intensamente intrisa di eticità», fino a esaltare i due film su Francesco, in cui risalta fortemente «la traccia dell’avventura umana, senza dimenticare il dolore e il male». Un riconoscimento non da poco, per una donna che ha fatto della ricerca del senso della vita, della libertà da ogni bandiera e da qualsiasi etichettatura ideologica il suo credo profondo.
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