venerdì 28 giugno 2024
Le intelligenze artificiali superano sempre più test:questo significa che buona parte delle attività grazie alle quali ci definiamo umani è una somma di processi calcolabili e prevedibili
Allo specchio

Allo specchio - Antonio Talarico / Immagine generata tramite IA

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Trattare di IA è il visto universale di una cittadinanza cieca e confusa che reclama con ostinazione le catene digital della caverna di Platone updated, dove il fuoco degli algoritmi proietta le ombre di aspirazioni represse e illusioni destinate a rimanere tali, incapaci di riscattare il malcapitato consenziente dalla sua insignificanza. Si procede per pattern e pensierini inutili a scalfire quel monolite impenetrabile che appare essere il fato dell’intelligenza artificiale, scaraventato dall’alto da qualche divinità indisponente, tutti concentrati a far presente che si è sul pezzo con considerazioni la cui profondità speculativa risulterebbe decisamente più convincente se organizzata dalle IA, tanta la prevedibilità e la reiterazione. Tenterò, con alcune riflessioni, di deragliare dal binario morto delle consuetudini a cui manca, dal mio punto di vista, un reale contraddittorio che non sia disquisizione di dettaglio.

Non è sufficiente piazzare qua e là qualche scarto di linguaggio nerd per liberarsi dalla passività allineata con cui normalmente ci si avvicina al tema, che si sia a favore o contro. Quella delle IA non è una transizione. È una vera e propria guerra che farà morti e feriti, produrrà nuovi apartheid per banlieu invisibili e velenose, genererà diseredati e nuovi slums dentro le case, nei più intimi meandri del quotidiano, fette intere di umanità classificate, ripartite, sacrificate alla imperturbabilità dei codici digitali, le nuove leggi sottotraccia, che, è sempre bene ricordarlo, qualcuno scrive pro domo sua e qualcun altro utilizza per i propri scopi.

Intendiamoci, c’è brava gente con tanto di mostrine che prova a fare qualcosa ma i metodi appaiono in gran parte semplificazioni ingenue e superficiali di propositi generici. Le commissioni di controllo dovrebbero vigilare su qualcosa che non hanno per niente chiaro, ancorate a una cultura dell’essere obsoleta incapace di scalfire il core della questione. Affermare che le IA devono essere regolamentate per salvaguardare l’umanesimo autentico, questo sconosciuto, proteggere i valori “veri” e così via, sembra cosa buona e giusta ma equivale a dire nulla. Non servono dichiarazioni d’intenti in cui ognuno è impegnato unicamente a dimostrare di essere più buono e più diligente degli altri, l’uomo del futuro, il valletto ideale. Altrettanto si può dire per le dichiarazioni trionfali di un positivismo senza scrupoli da far paura, impegnato alacremente alla ostentazione di una mitologia imprenditoriale futuribile come non se ne sono mai viste, utopica per un verso ed estremamente pericolosa nei risvolti sociali e umani per l’altro. Non serve che io dica ancora una volta quanto sono affascinato e coinvolto, tecnicamente, operativamente e filosoficamente nelle meraviglie multistandard della rivoluzione IA. Tra la meraviglia, però, si deve procedere come chirurgi capaci, tagliare dove si deve, scoprire nervi sensibili con la lucidità feroce che il mercato ha in odio, senza dare nulla per scontato compreso il nostro stesso coinvolgimento e le belle storielle che insieme costituiscono l’agiografia del mondo IA, conniventi anche quando si travestono del cupo pessimismo di chi non capisce.

Di recente, nel contesto della inarrestabile scia di test cui le IA e le loro derivazioni sono costantemente sottoposte, si è voluto verificare quanto GPT-3.5, GPT-4 di OpenAI e tre versioni di Llama, di Meta, fossero più performanti del corrispettivo umano in tre compiti piuttosto intriganti e intesi a sondare campi d’azione particolarmente ambigui: riconoscere false convinzioni, stanare i cosiddetti faux pas (il cui significato nell’epoca del politically correct andata e ritorno è piuttosto vago ) e svelare il retropensiero celato non di rado in proposizioni non esplicite. Ce n’è per tutti come si vede. Il passaggio interessante è che questa nuova categoria di test e il relativo interesse dei ricercatori sconfinano in modo concreto e neanche troppo timido nel campo della teoria della mente, bibbia pragmatica di dominio anglosassone esclusivo la cui priorità è utilizzare a fini produttivi, con metodiche seduttivo-manipolative, i meandri della psicologia umana.

Naturalmente è impossibile in queste colonne analizzare i risultati caso per caso, e forse ai nostri fini non serve. Basti sapere che i vari modelli IA sottoposti a prova si sono rivelati decisamente superiori alla media umana. Non è così scontato, la sfera cognitiva in questione è estremamente scivolosa, dal sapore umanistico che piace tanto a chi ama le retoriche, non esattamente identificabile con un contesto computazionale su cui ormai, non v’è ragione di negarlo, il primato delle IA è evidente.

IA mentaliste? Può darsi, ed è proprio qui che mi interessa andare. Posso immaginare le reazioni di qualche membro delle commissioni vigilanti: “Si deve assolutamente evitare che le IA incidano sulle scelte e influenzino la sfera psicologica” oppure “Le IA sono macchine e l’uomo è un’altra cosa” e così via per dichiarazioni fossili, nella speranza di ricevere qualche premio alla carriera da una audience altrettanto anchilosato. La questione è tutta un’altra. Non c’è bisogno di funzionari a prestito ma di visionari capaci di comprendere che il tavolo è stato ormai ribaltato. Nel caso specifico dei contesti psicologici le IA si comportano sempre nel loro stesso identico modo, né potrebbe essere diversamente. Misurano, e delle misurazioni calcolano ogni possibile rapporto traendo conclusioni pressoché infinite perché non limitate in alcun modo se non da inibizioni imposte dalla prospettiva del programmatore, braccio armato del mercato. Significa che l’intelligenza artificiale ha una sua psicologia e può indagare la coscienza? No, significa che dobbiamo innanzitutto rivedere cosa siamo. Significa che buona parte delle attività grazie a cui ci definiamo umani è niente altro che una somma di processi meccanico biologici, calcolabili e prevedibili. Per quanto complicati è possibile indagarne cause ed effetti, intuirne i risultati, innestarli con chip di ultima generazione, tagliando qua e là dove non siano graditi al mondo che si va profilando. Tutto è processo produttivo, emozionale, spirituale, sociale, il diagramma non fa distinzione.

Chi pensa che per cambiare le sorti basti una raccolta di prescrizioni e divieti, fossero anche i più perentori, o per converso raccolte di preghiere accorate recitate dalla voce suadente di Scarlett Johansson in versione intelligenza artificiale dimostra di essere inadeguato ad affrontare sul piano filosofico teoretico e solo dopo operativo la complessità, attuale e quasi già superata delle IA, la cui capacità infiltrante è paragonabile a quella di polveri sottili in versione linguistico sintattica, legato ancora a una convenzione dell’essere come artefatto in giacca e cravatta tra il vittoriano e il borghese, il bigotto e l’ideologico. Siamo molto più simili alle IA di quanto le IA siano simili a noi.

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