mercoledì 2 gennaio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Pubblichiamo un inedito di Rita Levi Montalcini datato febbraio 2009. Si tratta di un testo che ella indirizzò, insieme a Pietro Calissano, vicepresidente dell’Ebri (European Brain Research Institute) e suo più importante collaboratore scientifico, al primo convegno italiano di Neuroetica, tenutosi a Padova su iniziativa di G. Sartori e A. Lavazza.
Non è azzardato affermare che i progressi nel campo della ricerca biomedica e le loro applicazioni per la cura dell’uomo sono paragonabili a quelli che si sono verificati nella chimica e nella fisica dei primi decenni del secolo passato.Nell’ambito di questa formidabile, impressionante serie di progressi, le neuroscienze si sono inserite negli ultimi decenni del novecento e si prospettano in modo prorompente nel terzo millennio. Poiché le neuroscienze sono centrate sull’organo cervello, e poiché indubbiamente questo è l’organo funzionalmente più complesso ed importante del nostro organismo, ogni progresso conoscitivo in questa disciplina apre anche problemi di vasta portata che investono la sfera dell’etica.Fra questi problemi ricordiamo quelli che riguardano tutte le terapie farmacologiche e di altra natura applicabili alla sfera del mentale. La possibilità di produrre farmaci sempre più efficaci e mirati alla modulazione fine di funzioni neuronali o sinaptiche, prospetta ulteriori miglioramenti per il trattamento di affezioni mentali gravi come depressioni e psicosi, ma introduce possibilità di manipolazioni farmacologiche altrettanto efficaci e mirate per il controllo della personalità dell’individuo.È opportuno anche ricordare che la possibilità prossima ventura della creazione di carte di identità genetiche, che inevitabilmente riguarderanno anche patologie cerebrali o mentali, costituisce un altro enorme campo di problemi di natura etica. Non sfugge infatti che una carta di identità personale nella quale siano individuabili le molte migliaia di patologie su base ereditaria che affliggono l’uomo, da un lato fornisce uno strumento formidabile per l’eventuale futuro impiego di terapie geniche, ma dall’altro rischia di fornire una informazione potenzialmente impiegabile per discriminazioni di varia natura. Questi rischi sono evidentemente ancora più evidenti per le malattie di natura neurologica o mentale.Riteniamo, comunque, che anche i temi più urgenti e pregnanti che la moderna biomedicina pone e sempre più frequentemente porrà alla sfera della morale, non debbono costituire un ostacolo ad un principio fondamentale: la conoscenza della natura e delle sue leggi non costituisce mai, di per sé, fonte di pericolo ma dipende esclusivamente dal suo impiego che, in ultima analisi, deve sempre essere sotto il controllo della società.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: