In un documento diffuso di recente da
WikiLeaks, ritrovato tra i cosiddetti «Kissinger Cables», documenti del Governo Usa, si delinea con maggiore precisione la posizione dura di Indira Gandhi verso la leadership cattolica indiana, accusata di non collaborare con le campagne di sterilizzazione avviate nel Paese un quarantennio fa. Negli anni Settanta del secolo scorso l’India era infatti un Paese impegnato nella costruzione post-coloniale; una nazione autarchica e orgogliosa della sua propagandata «equidistanza» tra i blocchi ideologici-militari, alfiere dei Non Allineati. Una realtà con velleità più che certezze di «grande democrazia», anche se in molti regioni e in molti settori della società, l’ispirazione del Mahatma e l’orgoglio di una storia e di una cultura millenarie cercavano di creare condizioni di sviluppo secondo standard propri e autonomi. Il Governo di Indira si avviava verso l’oscuro periodo dell’«emergenza» e verso una serie di scandali che avrebbero mostrato i limiti della pretesa di integrità e di distanza dagli interessi occidentali (almeno quelli delle multinazionali delle armi e della tecnologia). Negli anni Settanta, tuttavia, Indira era soprattutto la figlia di Jawaharlal Nehru, il «padre della patria», e la sua parola trascinava le folle mentre sotto di lei crescevano una burocrazia elefantiaca e inefficiente, tensioni e povertà, con una «rivoluzione verde» ancora lontana da risultati concreti. Crescevano anche la retorica contro il «neo-colonialismo» occidentale e l’ostilità verso le influenze straniere. In questo contesto, anche la Chiesa cattolica diventò oggetto di sospetto e di controllo. Già nell’aprile 1953, rispondendo a un’interrogazione sul ruolo dei missionari cristiani, il ministro dell’Interno KN Katju aveva comunicato al Parlamento che l’India garantiva sì la libertà di propaganda religiosa, ma non voleva che questo avvenisse da parte di stranieri, chiarendo che «se essi vengono per evangelizzare, prima smettono e meglio è». Oltre vent’anni dopo, nel 1975, il Governo di Nuova Delhi decideva di limitare fortemente l’accesso ai missionari, centellinando i visti e di fatto imponendo a chi restava un’attività eminentemente sociale e l’acquisizione della cittadinanza indiana. La tensione era destinata a crescere quando la Chiesa mostrò con chiarezza la sua opposizione alla campagna di sterilizzazione di quegli anni, individuata dal Governo come strumento per stabilizzare la popolazione a un livello sostenibile con le risorse disponibili. Allora la popolazione dell’India aveva superato i 500 milioni e cresceva al ritmo del 4% annuo. La fame colpiva la maggioranza degli indiani e malattie decimavano in particolare bambini (13% di mortalità infantile) e anziani. Problemi enormi, che richiedevano risposte forti ma anche coordinate all’interno e con la comunità internazionale, non iniziative che la Chiesa riteneva contrarie alla persona umana, traumatiche per il Paese e anche – come sarebbe stato dimostrato in seguito – sostanzialmente inadeguate e presto abbandonate.La posizione vaticana sul progetto di sterilizzazione obbligatoria degli uomini dopo il terzo figlio venne espressa con chiarezza nel marzo 1976 con un articolo del teologo francescano Gino Concetti sull’«Osservatore Romano». La reazione successiva apriva così, insieme a una pagina oscura di storia indiana, un capitolo difficile e poco noto dei rapporti tra India e Santa Sede e per la Chiesa nel paese. Secondo un cablogramma datato 12 novembre 1976 e inviato dalla sede diplomatica Usa di Nuova Delhi al dipartimento di Stato di Washington, si chiarisce come l’India impose pesanti condizioni per la nomina dei vescovi. Il telegramma dice che il gesuita cardinale e arcivescovo di Calcutta Lawrence Picachy, padre spirituale di Madre Teresa, confermò a un funzionario consolare Usa che la Chiesa cattolica doveva affrontare difficoltà con il Governo indiano a proposito della nomina dei vescovi e delle superiori gerarchie ecclesiastiche: «Negli ultimi 30 giorni, il funzionario (Gokale) incaricato dell’ufficio vaticano del ministero degli Affari esteri ha presentato al rappresentante della Santa Sede a Nuova Delhi la bozza di una nota diplomatica su cui sono richiesti commenti. La nota ha tre punti essenziali. Tutte le nomine a vicario generale, capo dei vescovi, arcivescovo, cardinale e direttore di scuola devono essere inviate al Governo dell’India almeno due mesi prima dell’annuncio. Tutte e nomine devono avere la piena approvazione del Governo dell’India prima di essere annunciate e i nominati possono essere solo di nazionalità indiana». Alla richiesta perché l’India stesse sollevando la questione solo ora, il cardinale aveva risposto di non saperlo, ma riteneva che fosse «a causa della posizione tenuta con successo dalla Chiesa contro la sterilizzazione obbligatoria». Il cablogramma inviato al dipartimento di Stato aggiunge, citando Picachy, che il 99% dei cattolici si sarebbero allineati dietro la Chiesa se le nomine fossero state annunciate senza l’approvazione governativa ma che la Chiesa ne avrebbe probabilmente pagato le conseguenze. Ancora, il cardinale comunicò al diplomatico Usa autore del messaggio che lui e la leadership ecclesiale stavano cercando di ritardare una risposta al Governo fino alla successiva assemblea annuale dei vescovi cattolici. Aggiungendo anche che la «piena approvazione» nell’elezione dei vescovi non era negoziabile e che la Chiesa non avrebbe potuto accettarla.