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Aldo, Giovanni e Giacomo, tre splendidi sessantenni, ancora insieme, nella buona, come nella cattiva sorte, da trent’anni in qua. Tre decenni di risate regalate al pubblico, grande e piccino. Una dozzina di film quasi tutti da boom al botteghino, nell’era “pre-Zalone” (a cominciare da Tre uomini e una gamba, anno 1997), mattatori sul palco negli spettacoli teatrali – da I corti a Tel chi el telùn e poi la tv che da Mai dire gol li ha eletti a maschere nazionalpopolari. Una carriera per tre, da rivedere nella seconda e ultima puntata dello speciale amarcord Abbiamo fatto 30 – stasera in onda sul Nove, ore 21.25 – che noi riviviamo dalla viva voce di Aldo Baglio. L’anima sudista del trio, palermitano di San Cataldo («da cui prendo il nome di Aldo»), emigrato, a tre anni, con la famiglia a Milano. Perciò, l’accento siculo e le espressioni esilaranti, come il «Miii non ci posso credereeee» del suo celeberrimo personaggio Rolando, nella nostra chiacchierata scompaiono di colpo per lasciare il posto a un timbro pacato e meneghino, quanto «el panetun». Rispetto all’atletico-disicantato Giovanni Storti e al misticoinfermieristico Giacomo Poretti, Aldo Baglio è un romantico- nostalgico che quando non è in scena è immerso nei suoi pensieri divanati. E in questa seduta, ripercorriamo rapidamente la sua e la storia del trio, distante per stile da quello “classico” Marchesini-Solenghi- Lopez «comunque eccezionali », sottolinea, ma forse più vicino alla Smorfia di Troisi-Arena-De Caro. «Beh, loro sono stati dei punti di riferimento, specie Massimo Troisi: mi ha fulminato con il suo primo film Ricomincio da tre. Ma prima, una sera lo ascoltai in estasi dal mio posticino lontano in galleria, al Ciak, qui a Milano, dove negli anni ’80 è passato davvero di tutto. Quegli spettacoli trasmettevano un’energia incredibile che poi non si è più avvertita.
Formidabili quegli anni in cui non eravate ancora trio, ma un duo con Giovanni.
Ci chiamavamo i “Suggestionabili”. Io e Giovanni facevamo teatro di mimo. Quando abbiamo stretto amicizia con Giacomo lui faceva coppia artistica e nella vita con Marina Massironi e assieme mettemmo su il trio che all’inizio si chiamava “Galline vecchie fan buon brothers”.
Quando diventate Aldo, Giovanni e Giacomo?
Con Maurizio Castiglioni che a Villa Cortese alla domenica pomeriggio ci mise a disposizione il Caffè-Teatro con due musicisti molto bravi che erano la nostra colonna sonora. Lì, cominciammo a sperimentare quei personaggi e le gag che erano il frutto del nostro “cazzeggio” quotidiano.
Riscontro sul pubblico dell’hinterland milanese?
Locale sempre pieno, avevamo la platea in pugno: piaceva un sacco quel senso spudorato dell’improvvisazione e una fisicità acrobatica che credo sia stata la chiave principale del nostro successo. Eravamo entrati di prepotenza negli anni ’90 con l’energia irripetibile e virale degli anni ’80. C’era quella sana incoscienza nel rischiare senza porsi limiti sul dove e quando saremmo potuti arrivare. Almeno io non ci pensavo, anche perché al lunedì purtroppo tornavo a lavoro...
Avevate tutti e tre un piano B nel caso in cui il mondo dello spettacolo vi avesse sbattuto la porta in faccia...
Sì, io ero un triste impiegato della Sip, triste perché volevo fare ciò che poi ho fatto, ma non sapevo se sarebbe stato possibile farlo... Non so se mi spiego? – si ferma e sorride – . Giacomino faceva l’infermiere. L’unico che non faceva proprio un “c...(bip)” era Giovanni, allora precario felice che aveva tutto il tempo per pensare e per crederci più di tutti sul fatto che magari un giorno avremmo colto al volo la grande occasione.
E quella grande occasione come si presentò?
Nella straordinaria palestra del Derby in cui rappresentavamo la terza generazione dei comici, assieme a talenti come Alessandro Bergonzoni che era già una mitragliatrice umana: io rimanevo incantato nell’ascoltarlo, gli invidiavo quell’uso incredibile della parola. Poi per nostra fortuna è passato “Il Circo” di Paolo Rossi, genio assoluto che va studiato per la sua comicità. È stato Paolo a dirci: «Oh ragazzi, passate allo Zelig che forse potete combinare qualcosa». E lì, grazie alla tv, siamo stati in tanti a realizzarci, e ognuno poi ha scelto la sua strada
Nelle tre strade battute, cinema, tv e teatro, quale preferite?
Personalmente il teatro perché è la libertà assoluta, ti trasmette adrenalina pura per il rapporto fisico e l’interazione diretta con il pubblico, ciò che il cinema non ti dà. La tv ti regala la popolarità domestica, ma devi giocare con tempi ristretti, ti chiedono di creare in fretta un un pezzo fatto e finito e il gioco si chiude lì.
Leggenda metropolitana narra che lei Giovanni e Giacomo vi lasciate e vi riprendete continuamente, da trent’anni in qua...
Siamo come marito e moglie che vivono in case diverse e per questo resistono al tempo – sorride – . Se siamo rimasti assieme è perché abbiamo sentito e capito il valore della lontananza. Ognuno fa la sua vita, poi quando scatta la scintilla e l’idea giusta ci si riunisce e si riparte con un’esperienza e un vissuto che inevitabilmente ci ha cambiati... e spero in meglio. Nel frattempo, quando non ci si vede conosciamo altra gente e a volte capita la fortuna di incontrare persone speciali e che ci arricchiscono come Massimo Venier.
Nel suo cammino da “solista” ha incontrato anche il premio Oscar Giuseppe Tornatore.
Dalla Medusa un giorno mi chiamano e mi fanno: «Serve un siciliano per Baaria », ma io sto film avevo pure paura a farlo, e stavo per rinunciare. Poi Tornatore mi disse due o tre cose e ho accettato quel ruolo serioso dell’affarista che mi ha permesso di mostrare un’altra parte di me che ignoravo. Talmente diversa che quando mia madre è andata al cinema a vedere Baaria mi ha telefonato e mi ha detto: «Il film è bello Aldo, ma tu dov’eri? » – sorride divertito –.
I suoi due mentori, quando non esercitano il mestiere d’attore scrivono libri: a quando l’esordio di Aldo scrittore?
Credo mai. Io non sono neppure un grande lettore, mi piace scrivere quando mi viene qualche lampo per gli sketch, ma alla terza paginetta sudo e mi fermo... Ho i miei libretti in cui sono raccolte le “cazzate” di questi ultimi trent’anni, ma le tengo per me.
Peccato, le leggerebbero anche i giovani. Come se lo spiega infatti il successo clamoroso che Aldo, Giovanni e Giacomo riscuotono tra i millennials?
È inspiegabile. Ma forse sta nel fatto che ci vedono per quello che siamo, dei “sessantenni adolescenti”. Il tempo ha maturato solo la nostra comicità che però non va di pari passo con l’anagrafe e questo lo considero il vero fenomeno da analizzare.
Il Covid non l’ha frenata, anzi, ha dato altre due prove da “singolo”. Ma all’orizzonte c’è la reunion del trio per un nuovo film.
Con Morgan Bertacca e Valerio Bariletti mi sono divertito molto a scrivere Scappo a casa diretto da Enrico Lando e la prossima primavera uscirà un altro film scritto sempre con loro due che dovrebbe intitolarsi Una boccata d’aria. Con Giovanni e Giacomo l’anno scorso abbiamo realizzato Odio l’estate e adesso c’è l’«idea bella» per il prossimo film che gireremo nel 2022.
Parla con piglio registico: possibile un futuro con Aldo Baglio dietro alla macchina da presa?
No, piuttosto mi do una coltellata – sorride – . Con il regista parlo molto, si decidono delle cose insieme, ma poi ognuno fa il suo mestiere. Lo dico sinceramente... preferisco il tennis alla regia.
Giacomo è un fervido credente e ha portato anche in scena la sua fede, nel monologo Fare un’anima. Siete in sintonia anche su questo?
No, io religiosamente parlando sono “l’antiGiacomo”, mi ritengo un “infedele”, ma non integralista. Ho altre fedi, quella interista per esempio, ma anche in questo caso mi professo moderato.
La sua Aldo, sposando l’attrice Silvana Fallisi, è diventata una “famiglia d’arte”: altri Baglio crescono come attori?
I nostri figli, Caterina e Gaetano, finora hanno subìto il fatto dei genitori attori in casa e sono scappati dall’idea del figlio d’arte. Ma Caterina ora lavora nel cinema e vorrebbe studiare da regista, consapevole che la strada è lunga e dura. Gaetano ha un bell’umorismo, ma fino ad oggi non ha mai mostrato la vocazione, ma questo valeva anche per me alla sua età. Il talento e la passione sono importanti, ma poi devi avere la fortuna di crescere nel posto giusto e al momento giusto. Ma soprattutto devi incontrare tipi giusti... come Giovanni e Giacomo.