«Senza finanziamenti pubblici il teatro muore». Peter Stein non ha dubbi. Le sue parole, in giorni in cui i tagli al Fus sollevano da più parti proteste infuocate, sono sassate: «Ma in Italia quali sono le logiche degli investimenti? I teatri sono nelle mani degli amministratori, persone lontanissime dalle problematiche artistische. Il teatro è un affare pubblico. E fin dalle sue origini ad Atene, dove addirittura veniva versato un obolo per permettere ai cittadini delle classi disagiate di assistere alle rappresentazioni». E prosegue: «Ci può essere la partecipazione ma non l’esclusiva dei privati. Altrimenti resisterebbe soltanto un teatro per modo di dire, fatto da star della tv. O da qualche bellezza che dopo essere stata presentatrice, come accade qui in Italia, si cimenta con Cechov». Il grande regista tedesco (ma che vive da anni nel nostro Paese e ha sposato l’attrice Maddalena Crippa) era a Milano ieri per presentare I demoni, la pièce-monstre di 11 ore e con 26 attori tratta di suo pugno dal romanzo di Dostoevskij. Lo spettacolo, programmato la scorsa stagione dallo Stabile di Torino, aveva subito una storia travagliata a causa della crescita dei costi conseguenti alla durata (in origine prevista di sei ore) e dei tagli ai fondi destinati al teatro. Saltata la produzione torinese, Stein lo ha messo in scena il maggio scorso nella sua tenuta di San Pancrazio in Umbria, pagando in gran parte di tasca propria, con unanimi consensi di critica. Lo recupera il milanese Teatro Filodrammatici trasformandolo, per il maggio prossimo, nel fiore all’occhiello della sua quarantesima stagione (dedicata alla Fondazione Exodus di don Mazzi) che va dal teatro canzone di Gaber con la Crippa al Fabbricone testoriano fino a Paolo Rossi. Sperando nell’arrivo dei fondi del Fus («al momento non sappiamo non solo l’ammontare della cifra ma neppure se arriveranno» ha detto la direzione) e contando nella coproduzione di teatri italiani e stranieri («per questo spettacolo abbiamo ricevuto già molti contatti»).«È impossibile condensare I demoni in 3 o 4 ore» spiega Stein, non nuovo a messe in scena fiume (il suo Faust durava 22 ore). «Qualcuno sosteneva che 11 ore sono troppe, che il pubblico si sarebbe spaventato. È vero esattamente il contrario. Il pubblico è affascinato dalla durata. Si immerge nel mondo dell’autore, lo spettacolo diventa un’esperienza di vita». Nessuna scenografia, sul palco pochi mobili, quelli di casa: «È uno spettacolo in cui gli attori si riappropriano della scena. Direi pura 'recitazione', ma il termine italiano è fuorviante perché implica uno stile di pronuncia della parola forzato. Preferisco il tedesco spiel , gioco». Dostoevskij descrive un mondo che ha perso la fede nella religione diventando vittima dell’ideologia. I demoni del titolo sono le malattie, le deformazioni, le follie di una generazione votata al nichilismo. «Dostoevskij, profetico e attualissimo, racconta le radici delle ideologie che hanno sconvolto il ventesimo secolo. La sua è una descrizione visionaria delle conseguenze del pensare moderno, materialista, razionale. Oggi noi viviamo sulle macerie di quelle ideologie, ma le polveri permeano ancora l’aria che respiriamo». I personaggi finiscono tutti in omicidi, suicidi o pazzie. «Il genio dello scrittore ha congelato la condizione di questa umanità nella straordinaria figura di Stavrogin, che incarna l’indifferenza. Quel che resta, alla fine di tutto, è il vuoto». Come reagisce l’uomo Stein? «Non sono religioso ma credo profondamente nella forza creativa dell’uomo. L’arte è sempre stata connessa con il sacro. Si tratta di un legame che si è spezzato e che va recuperato attraverso il dialogo».