La sera è mite. E quando si fa buio e le stelle appaiono in cielo, nella medioevale piazzetta del paese il rito può incominciare. Un rito che sembra antichissimo, e così non è. Può infatti apparire incredibile, ma è in fondo così giovane, anagraficamente, quella che sembra una delle nostre tradizioni teatrali più antiche: il Teatro Povero di Monticchiello. Una tradizione così segnata nella sua particolarità e così robusta per quegli inconfondibili caratteri che la contraddistinguono nel panorama italiano. Da quattro decenni e più (nacque nel 1967, e fu quasi una scommessa) gli abitanti del borgo toscano chiuso nelle sue mura merlate (trecento persone) preparano lungo l’inverno tedioso un canovaccio di spettacolo sul quale nei mesi successivi la comunità tutta unita lavora con fervore e passione alla sua realizzazione sotto la guida di quello straordinario personaggio, la vera anima dell’operazione, che è Andrea Cresti. Per presentare poi nel cuore dell’estate a se stessi, agli abitanti dei dintorni e soprattutto ai turisti in pellegrinaggio nella magica Val d’Orcia, quello che è un vero «autodramma », come ebbe a definirlo fin dagli inizi Giorgio Strehler. Un «autodramma» che da sempre ha il suo fulcro in un tema particolare e quanto mai vitale che crea l’interesse e determina il successo. Mai però tradendo la memoria storica. Semmai intrecciandola e confrontandola con la realtà di oggi. Come avviene, e con ancora maggiore verità e forza, anche questa volta – il titolo scelto, secco e pregnante, è DuemilaNOve (attenzione, quel NO in maiuscolo ha significato ironico) – dove tutta l’attenzione è puntata proprio sul tema scottante di quella crisi che tutti ci attanaglia. Crisi economica, ma anche crisi di valori morali e che non trascura nemmeno il piccolo «pueblo» monticchiellese. E sarà per la sua scottante tematica, ma, diciamolo subito, anche perché il suo corpo scenico questa volta si connette in maniera particolarmente stretta e funzionale a quanto si vuole raccontare, lo spettacolo di quest’anno ci pare ancor più riuscito e ricco di suggestioni. Nutrito di episodi di spicciola vita quotidiana, di sapide battute, corre rapido, senza inciampi e riesce a mordere in continuazione, giocato com’è su un registro volutamente grottesco. Tutta l’azione ruota intorno a una piccola, geniale trovata. Siamo in tempo di crisi? Come combatterla? Come risparmiare? Ecco spuntare (il potere, lo Stato a suggerire ancora?) una misteriosa «stufa economica» come tante che molti potrebbero avere avuto in casa dai nonni, pronta a bruciare un fuoco apocalittico e che viene presentata come un necessario adempimento di un’ambigua «solidarietà nazionale». E allora tutti – scettici e no – a darsi da fare tinteggiando magari di nuovo la casa, per ospitare quell’oggetto pieno di virtù. E lo spettacolo a scoppiettare di momenti fantasiosi come le fiamme invisibili di quel marchingegno che in realtà è solo un bluff. Ancora una volta gli attori monticchiellesi sono bravissimi nel dar fuoco alle polveri del loro «autodramma». Sanno essere smaliziati come professionisti. Gli uomini come le donne. I veterani (non manca il «mitico» Alpo Mangiavacchi, questa volta in un personaggio solo muto, un vecchietto in balia di una badante russa e che in russo si esprime portando un’ulteriore nota di colore). Giovani già provvisti di maturità e temperamento tali da sembrare pronti ad assicurare il futuro di questo Teatro Povero per definizione ma ricco di idee. E che ogni anno ci mostra un’Italia che ancora crede in se stessa. Rappresentazioni fino al 14 agosto.