Ebbe a confidare Charles M. Schulz che lo assaliva una forma di disagio quando, all’improvviso, entravano nel suo studio i figli o la moglie. E lo coglievano con lo sguardo assente davanti alla finestra. Quasi che stesse oziando. In realtà erano quelli i momenti in cui gli balenavano nel cervello nuove soluzioni per i suoi Peanuts. Noccioline… Delle quali ricorrono in questo 2010 due anniversari: il sessantesimo della pubblicazione (1950) della prima striscia e quella della apparizione dell’ultima piccola sequenza come tradizione formata di quattro quadretti, nel febbraio del 2000. Striscia questa di addio di Schulz ai suoi personaggi, da Charlie Brown il perdente ragazzino, dal grande tondo testone, malato di ottimismo, al bracchetto Snoopy inguaribilmente "infetto" di umanità (Piperita Patty si intestardisce a definirlo «il più buffo bambino che abbia mai visto»), e poi Linus che trova sicurezza nell’inseparabile coperta, la pestifera Lucy delusa da Schroeder che non la fila per niente preferendo col suo pianino giocattolo rendere omaggio al sommo Beethoven e per consolarsi apre un banchetto di consulenza psichiatrica a 5 cents la seduta. E ancora tutti gli altri. Che Schulz disegnava con tratto quasi infantile, sempre gradevole, riuscendo a esprimere la più impercettibile variazione di umore di ognuno dei personaggi. Tutti ragazzini, amici di strada, in totale assenza del mondo adulto.È stato detto che Schulz faceva sorridere rivelandosi più che un umorista un poeta impegnato a cogliere col suo microcosmo le nevrosi e gli umori del suo tempo. Con linguaggio universale se è vero che i Peanuts erano pubblicati costantemente, ogni giorno compresa la domenica, da duemila giornali di settanta Paesi. Affidò dieci anni fa il suo messaggio di addio proprio al quattrozampe Snoopy, in fondo con le sue manie di grandezza il più affidabile del gruppo di amici in erba, e il primo ad animare la striscia del debutto. Lo disegnò, suo alter ego, sul tetto della sua proverbiale casetta intento a scrivere una lettera a macchina: «Non sono più in grado di mantenere il ritmo di lavoro richiesto da una striscia quotidiana»…Charles Monroe Schulz era nato a Minneapolis (Minnesota) il 26 novembre 1922 e seguì un corso di disegno per corrispondenza. Di certo, si trattasse del Grande Cocomero di Halloween o dell’albero "mangiaquiloni" o ancora lo scalciare a vuoto del "giocatore" di baseball Charlie Brown, l’unico ed essere chiamato con nome e cognome, le pillole di Schulz sono state per generazioni di lettori una rasserenante meditativa compagnia quotidiana. Attori assoluti della striscia disegnata perché, disse Schulz, l’intromissione degli adulti i loro pensieri e il loro agire perderebbe significato. Divina età quella dell’infanzia segnata da una filosofia di vita insieme fragile e ottimista. Senza secondi fini. E c’è stato chi si è spinto in una analisi ancora più profonda dei significati costanti del lavoro del filosofo sorridente Charles Monroe Schulz: la loro religiosità di fondo. Che ha consentito già negli anni sessanta a Robert L. Short, attento esegeta dei Peanuts, la pubblicazione di un libro denso di significati spirituali chiamato
Il vangelo secondo Charlie Brown, con un seguito sottilmente godibile intitolato
Le parabole di Snoopy.Il lancio in Italia dei Peanuts dopo breve apparizione nel "Corriere dei Piccoli" (con evidenti limiti: l’età degli imberbi lettori, incapaci di coglierne le infinite sottili sfumature), avvenne nel 1965 grazie al mensile che i fondatori Gandini e Carano vollero chiamare per coerenza "Linus". Seguendone dagli inizi l’evoluzione non soltanto di segno. Senza eredi per volontà dello stesso autore, cui venne assegnata infine la Medaglia d’oro del Congresso Americano. Alla memoria.