“Abbiamo cominciato per ultimi la corsa per la Capitale europea della cultura. Ma questo conta fino a un certo punto”. Il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, sta puntando molto sulla sfida europea. Trentasei anni, a capo di una coalizione di centrosinistra, ripercorre l’inizio dell’avventura. “Con la mia elezione abbiamo dato il via a un percorso di rinnovamento che è in sintonia con l’idea della città come Capitale europea della cultura. Era il 2011”.
Sindaco, nel dossier per il titolo europeo emerge un forte legame fra la candidatura di “Cagliari 2019” e l’amministrazione comunale. Solo una strada per avere consensi? “Questo rapporto stretto dà l’idea di quanto crediamo a questa scommessa. Il programma di governo è impostato non per essere Capitale europea della cultura ma per dare una svolta alla città. E il programma è confluito nel dossier di candidatura: ciò dimostra anche che vogliamo investire in questa impresa”.
Nel dossier si pone l’accento sul patrimonio immateriale di Cagliari: dalle tradizioni alla lingua sarda. Perché? “Perché è una delle peculiarità della nostra realtà. Il patrimonio materiale è ben più semplice da mostrare ed è comune a gran parte delle città italiane. Certo, qui abbiamo un ambiente unico fin dentro la città: pensiamo agli stagni, alle lagune, alle saline, al mare. Poi c’è un tesoro che è proprio dei cittadini di Cagliari: sono le competenze, i suoni, le usanze. Tutto ciò è entrato a pieno titolo nella nostra candidatura”.
Il programma di “Cagliari 2019” ha al centro i “domicili artistici” sparsi per la città. “Sono progetti che stiamo già realizzando con il coinvolgimento di creativi che giungono dal continente, a cominciare dai quartieri popolari. Le residenze degli artisti si affiancano ai progetti di riqualificazione urbana dell’amministrazione comunale. Abbiamo un piano triennale delle opere pubbliche da 363 milioni di euro: è uno fra i maggiori in Italia. Ma ci siamo accorti che il nostro sogno di rigenerazione non può basarsi soltanto sugli interventi urbani o sulle infrastrutture. Serve vitalizzare la città. Di fatto non è sufficiente restituire spazi. Occorre coinvolgere i cittadini avvicinandoli alla cultura, a cominciare da chi per esempio non ha mai visitato un museo o non ha mai sentito un concerto”.
Uno dei quartieri dimenticati su cui si concentra l’attenzione è quello di Sant’Elia, il maxi agglomerato di 12mila abitanti ampliato per ospitare gli ex detenuti. “I progetti per farlo rinascere sono in corso. E’ un programma che viene da più lontano rispetto alla candidatura. A Sant’Elia siamo intervenuti sul lungomare, sul porticciolo della piccola pesca coinvolgendo la Cooperativa dei pescatori, sugli immobili di edilizia popolare, con la riconversione degli spazi legati all’economia militare che sono ora destinati a un’economia di pace. Poi vorrei citare il Centro d’arte dove si tengono le residenze artistiche. Come dicevo, vogliamo fare andare a braccetto il miglioramento urbano con lo sviluppo sociale”.
Come la città si confronta con la piaga della disoccupazione che tocca livelli notevoli? “Abbiamo una situazione drammatica dovuta a ritardi o a errori nelle scelte varate negli ultimi decenni. Vogliamo favorire l’accesso al credito e il finanziamento delle imprese. Anche i giovani che vogliono cimentarsi con l’imprenditoria, specialmente culturale, devono essere sostenuti: e il Comune vuole essere al loro fianco”.
Cagliari fa i conti anche con l’isolamento che è proprio della Sardegna. “C’è bisogno di potenziare le infrastrutture aeroportuali e di collegamento. Ma va vinto soprattutto l’isolamento culturale”.
Come la città affronta questa competizione? “Serve coinvolgere i cittadini per farli sentire parte della città che sono chiamati a proteggere, conservare e promuovere”.