lunedì 27 aprile 2020
Il capitano di Gondor è figura divisa in sé tra chiusura ed eroismo, facile terra per il potere dell'Anello. Saprà anteporre al suo bene parziale quello più grande in un mondo cambiato dal pericolo
Boromir nella trilogia cinematografica del Signore degli Anelli

Boromir nella trilogia cinematografica del Signore degli Anelli - © 2001 - New Line Productions, Inc.

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“Dobbiamo fare a meno della speranza” sentenzia Aragorn, affranto, dopo che la Compagnia è riuscita a scappare dalle Miniere di Moria senza Gandalf, trascinato nell’abisso dal demoniaco Balrog. Il cammino, però, deve continuare e riserva ancora numerosi pericoli e insidie. Di prove e tentazioni dunque parliamo in questo passaggio da La Compagnia dell’Anello a Le due Torri, in cui ci faremo guidare dall’inquieta figura di Boromir.

Prima, però, soffermiamoci per un attimo sul soggiorno della Compagnia a Lothlórien, l’elfico regno di Celeborn e Galadriel. In questo luogo magnifico, la cui la bellezza edenica sembra offrire un momentaneo ristoro ai membri della Compagnia, i nostri eroi saranno messi alla prova dallo sguardo di Dama Galadriel, capace di scrutare i loro pensieri più nascosti.

Galadriel è a sua volta involontariamente tentata da Frodo, che le offrirebbe l’Anello, se solo lei lo volesse. La potente Dama sa che l’Anello la trasformerebbe in una Regina “bella e terribile”, ma non cede: “Diminuirò – I will diminish, nel testo originale, con probabile memoria di Gv 3,30 – e andrò a Ovest, e rimarrò Galadriel”: la libertà della Dama sta nel voler accogliere il suo destino, anche se implica rinunciare a una grandezza assoluta che però non le appartiene, per rimanere Galadriel, per continuare a essere pienamente se stessa e non lasciarsi corrompere dal male.

Non così sarà per Boromir, che fino all’ultimo vacillerà sotto il peso della tentazione. Sin dalla sua prima apparizione, Boromir ha mostrato principalmente due lati del suo carattere. Da una parte sembra costretto negli orizzonti limitati del suo mondo (spesso esprime il suo dissenso esordendo con espressioni come: “A Gondor tutti sanno che...”), quel mondo che, almeno nella sua percezione, sembra imporgli un certo modello di comportamento (“Gli uomini di Minas Tirith mantengono fede alla parola data...”, “Non è da uomini di Minas Tirith abbandonare gli amici nel bisogno...”).

Questo attaccamento radicale lo porta a idealizzare se stesso, il suo ruolo e la sua gente, a essere sempre sospettoso nei confronti degli altri e delle loro idee, assumendo spesso atteggiamenti polemici. Gli impedisce, in altre parole, di donarsi completamente, di sentirsi realmente parte della Compagnia. Quando però le circostanze lo incalzano, quando non subentra il filtro delle mente che lo intrappola in rappresentazioni distorte di sé, Boromir sa agire con prontezza e coraggio, si prodiga per difendere con generosità i più deboli. Per questo la gente di Gondor lo ama profondamente.

Questi due aspetti opposti della sua personalità sono all’origine del suo tormento. Ed è proprio nella divisione che il potere dell’Anello trova terreno fertile. Nell’ultimo dialogo con Frodo, Boromir preme perché il Portatore dell’Anello decida di recarsi a Minas Tirith, già minacciata dal Nemico, prima di compiere la sua missione e distruggere l’Anello. Anche a Frodo l’idea potrebbe sembrare saggia: andare a Minas Tirith vuol dire evitare, almeno per il momento, il cammino periglioso verso Monte Fato, apparentemente per un buon fine. Ma Frodo dimostra di essere in grado di smascherare la tentazione: il suo cuore lo mette in guardia. “Da cosa?” chiede Boromir. “Dal tardare. Dalla via che sembra più facile. Dal rifiuto del fardello che grava su di me”. Così si presenta la tentazione a Frodo: seduzione della scorciatoia e rifiuto del sacrificio. “E, devo dirlo, dalla fiducia nella forza e nella sincerità degli Uomini”.

Alle obiezioni di Boromir Frodo replica: “Non metto in dubbio il valore della tua gente, ma il mondo sta cambiando”. Il pericolo sta cambiando l’aspetto del mondo e il cuore degli uomini. E proprio Boromir ha ceduto alla più raffinata delle tentazioni, quella del male mascherato da bene. Dice di voler usare l’Anello per salvare la sua gente, ma poi si abbandona a fantasie di onnipotenza: “Cosa non farebbe un guerriero in queste circostanze, un grande comandante? Cosa non farebbe Aragorn? O, se lui rifiuta, perché non Boromir? L’Anello mi darebbe il potere del Comando. Come respingerei le armate di Mordor, e tutti gli uomini accorrerebbero sotto il mio stendardo!”.

Nel suo delirio, in cui si immagina come “un re potente, benevolo e saggio”, quasi non si accorge più della presenza di Frodo, è completamente ripiegato su stesso. Quello di diventare un re benevolo e saggio può apparire come un sogno nobile, ma quel destino spetta a un altro. Ed è proprio questa la prigione in cui l’Anello finisce per rinchiudere Boromir: desiderare una sorte che non è la sua. Solo quando Frodo scapperà via da lui, con l’Anello pericolosamente al dito, Boromir sarà in grado di capire. E scoppierà in lacrime.

Il destino della Compagnia è ormai segnato, ma per Boromir c’è ancora una possibilità di riscatto. Dopo un attacco da parte degli orchi, Aragorn lo trova seduto contro un albero, trafitto da frecce dalle penne nere, con una spada spezzata ancora in mano. Ai suoi piedi i cadaveri di una ventina di orchi. Con le sue ultime parole, Boromir confessa la sua colpa: “Ho tentato di sottrarre l’Anello a Frodo. Mi dispiace, ho pagato”. La sua indole guerriera gli impone di ragionare rigidamente sempre in termini di sconfitte e vittorie, ma l’ultimo pensiero è per la sua gente: “Addio Aragorn! Vai a Minas Tirith e salva la mia gente! Io ho fallito”. È ancora una volta l’altro a riportare Boromir alla verità. Così lo consola Aragorn: “No! Tu hai vinto. Pochi hanno ottenuto una vittoria così grande. Stai in pace! Minas Tirith non cadrà!”.

La vittoria di Boromir è davvero grande. Dopo aver riconosciuto la sua colpa, egli è diventato capace di dare la vita per i suoi amici e guadagnarsi la pace. Nel momento supremo del pericolo, ha saputo liberarsi delle immagini ingannevoli e ha consacrato il suo tragico eroismo cercando di difendere Merry e Pippin. Il suono del corno col quale ha richiamato Aragorn prima di spirare ha dato voce al suo estremo desiderio di sentirsi ancora parte della Compagnia.

Anche per chi non è impegnato in prima linea o non deve fare direttamente i conti con la malattia, la prova da affrontare nel tempo dell’emergenza presenta delle insidie: non solo ci si sente privati della “libertà” – intesa qui, semplicemente, come possibilità di vivere la vita di tutti i giorni – ma sembra venir meno anche qualsiasi prospettiva “eroica” che possa dare un senso alla prova stessa.

Finora il massimo che la maggior parte di noi ha potuto fare è rimanere a casa: non esattamente un’impresa epica, nonostante tutte le difficoltà e le preoccupazioni del caso. Eppure si può ancora scegliere fra lasciarsi andare al pessimismo o alla rabbia, o piuttosto cercare modi nuovi di fare esperienza del bene anche in questa inedita quotidianità. Ora che si inizia a intravedere la luce in fondo al tunnel, ci proiettiamo subito verso il futuro, ci interroghiamo su come sarà la vita dopo l’emergenza, su come limitare i danni e ripartire. Con Frodo potremo chiederci se il pericolo avrà davvero cambiato il mondo. Di certo anche da come saremo stati davanti alla prova dipenderà la nostra capacità di individuare le priorità di domani.

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