Dimenticatevi Dan Brown. Gli «Apocrifi moderni» che l’Università Cattolica mette al centro del convegno che si terrà la prossima settimana tra le sedi di Brescia (8 maggio) e Milano (9 maggio) riguardano solo in parte le fantasie pseudostoriche in stile Codice Da Vinci. Lo precisa con chiarezza già il sottotitolo della due giorni, «Riscritture dei Vangeli nella letteratura italiana contemporanea», a partire dal quale si diramano gli interventi di studiosi come Annamaria Cascetta, Enrico Elli, Marco Ballarini, Giuliano Ladolfi, Francesco Tosto e Giuseppe Visonà. Ma molto spazio sarà riservato anche all’esperienza diretta degli autori di oggi, da Giuseppe Conte e Marco Beck a Laura Bosio e Giancarlo Marinelli, con due momenti di lettura scenica su testi di Franca Grisoni e Luca Doninelli (per informazioni: www.unicatt.it). A spiegare le ragioni dell’iniziativa è Giuseppe Langella, al quale si deve tra l’altro l’istituzione dell’Archivio della letteratura cattolica, attivo da alcuni anni presso l’ateneo fondato da padre Gemelli: «Al contrario di quanto si pensa – afferma Langella –, i Vangeli rappresentano una fonte di ispirazione costante per gli scrittori contemporanei. È un’inquietudine profonda, dalla quale sono nate e continuano a nascere opere che spesso possono essere definite “apocrife” solo per traslato, ma all’origine delle quali sta invece un intenso confronto con il Nuovo Testamento. La tendenza diventa più evidente all’indomani del Vaticano II, ma già nel 1905 Il santo di Antonio Fogazzaro anticipa molte delle tensioni e delle attese successive». Sì, però quel romanzo fu messo all’Indice: “apocrifo” va dunque inteso nel senso di ribellione all’autorità ecclesiastica? «Non necessariamente – risponde Langella –. Se nel caso di Fogazzaro la polemica contro la Curia romana (ma non contro la persona del Papa) è ben riconoscibile, già nel 1921 la Storia di Cristo di Giovanni Papini testimonia un atteggiamento del tutto diverso: l’autore si mette al lavoro per celebrare la grandezza umana di Gesù, ne scopre la natura divina in corso d’opera, ma quando arriva a narrare l’episodio dell’investitura di Pietro a capo degli apostoli la sua adesione alla fede cattolica è ormai piena. Deriva da qui quella tradizione di rivisitazione dei Vangeli in chiave spirituale e contemplativa che da qualche anno ha in Erri De Luca il suo più noto esponente. Senza nulla togliere a tanta varietà di soluzioni, credo che si possa indicare con certezza nel Quinto evangelio di Mario Pomilio il libro che più di ogni altro riesce a testimoniare la sfida di un’attualizzazione del Vangelo capace di non tradirne il messaggio originario».Al capolavoro di Pomilio farà diretto riferimento, nell’ambito del convegno sugli «Apocrifi moderni», la relazione di Giuseppe Lupo, per il quale Il quinto evangelio inaugura una nuova stagione del rapporto fra la letteratura italiana e la narrazione neotestamentaria. «Il libro uscì nel 1975 – ricorda Lupo –, con un ultimo capitolo di impianto teatrale, in cui ciascuno dei “comprimari” della Passione cercava di fornire la propria versione dei fatti. Negli anni successivi questa prospettiva parziale, per cui un singolo personaggio riduce a se stesso la vastità e il mistero dell’evento evangelico, diventa prassi condivisa dai nostri narratori. Si pensi, in particolare, ai romanzi che, negli anni successivi al Quinto evangelio, mettono a tema la figura di Giuda: La gloria di Giuseppe Berto, Trenta denari di Ferruccio Ulivi, Il Vangelo di Giuda di Roberto Pazzi. Ma c’è un altro elemento che va sottolineato. Insieme con L’avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone, il libro di Pomilio suggerisce l’esistenza di una tradizione “apocrifa” caratteristica dell’Appennino marsicano-abruzzese, nella quale agisce una forte componente di adesione etica al dettato evangelico».Si sporgono verso il Medioevo (com’è noto, L'avventura siloniana ha per protagonista Celestino V) anche le riflessioni che Ermanno Paccagnini proporrà nel suo intervento sulla presenza degli «apocrifi» nella narrativa di genere. «Filone decisamente fiorente in ambito internazionale – sottolinea il critico –, tanto da alimentare una sorta di biblioteca in continua espansione. I best seller di Dan Brown sono in compagnia, per esempio, di romanzi assai più “ortodossi” come Iacobus della spagnola Matilde Asensi, nel quale ritroviamo l’ambientazione medievale tanto cara agli autori italiani. Da noi, più che con l’epoca delle origini cristiane, ci si confronta volentieri con i misteri dell’Età di mezzo, lungo una tipologia che va dall’immancabile Il nome della rosa di Umberto Eco fino alle avventure dell’inquisitore Eymerich di Valerio Evangelisti. Negli ultimi anni, tuttavia, abbiamo assistito anche alla ripresa del romanzo apocalittico, sia nella variante “laica” dello Scurati della Seconda mezzanotte, sia in quella più dichiaratamente religiosa del Parazzoli di Il mondo è rappresentazione».
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