venerdì 12 settembre 2014
Il romanziere di Uta, che ha vinto il premio Mondello: «Non ci sentiamo isolati, certo il mare segna la nostra vita ma il capoluogo è simile alle grandi città, senza la dispersione delle altre metropoli»
COMMENTA E CONDIVIDI

Fra le mani Flavio Soriga ha il suo romanzo Sardinia blues con cui ha vinto il premio “Mondello Città di Palermo”. In quelle pagine il 39enne scrittore di Uta racconta il quotidiano di tre giovani laureati (e disoccupati) sardi e parla di Cagliari come della «nostra piccola scintillante Los Angeles». Una definizione piuttosto romanzata? «Macché – risponde Soriga –. Come gran parte dei capoluoghi, Cagliari è molte cose. In passato è stata solo una fortezza militare davanti al mare. Oggi è una città incredibilmente esuberante che ha una sua vita anche notturna. E tutti sono coinvolti, indipendentemente dall’età o dal rango sociale».

Subito viene in mente la spiaggia del Poetto costellata di lidi e baretti. «Il mare è un elemento da cui non si può prescindere – continua lo scrittore che si è aggiudicato anche i premi “Italo Calvino”, “Piero Chiara” e “Grazia Deledda” –. Il mare influenza ogni dimensione: dall’aspetto fisico alla gestione del tempo». Ma è anche la barriera che separa la Sardegna dal continente. «A dire il vero il cagliaritano non si sente isolato. È come un qualsiasi abitante di una città media europea. Cito un esempio: la borghesia cittadina va a sciare ogni inverno in Trentino o in Valle d’Aosta. E ciò la differenzia da quella del resto dell’isola».

In fondo Cagliari è l’unica autentica città della regione. «Ed è lontana mille chilometri da quanto gli italiani si aspettano dalla Sardegna. Immaginano l’isola come una terra rurale dominata da silenzi e pascoli. Un ritratto stereotipato che in parte può essere anche vero. Però Cagliari è tutt’altro. Ha la complessità di un grande centro ma non la sconfinatezza di metropoli come Milano o Roma dove puoi girare per giorni senza incontrare nessuno che conosci. Inoltre non ha alcun senso di inferiorità».

Eppure si fugge verso altre terre. «A Cagliari succede meno che in altre zone della Sardegna – sostiene lo scrittore –. Certo, se si vuole fare il ballerino di danza contemporanea, è difficile lavorare qui. Magari si comincia la carriera altrove; poi, però, si torna». Un po’ come accade a lei, Soriga, che oggi vive a Roma. «Ma conservo la residenza a Uta. Aggiungo che, quando saremo indipendenti, sarà obbligatorio vivere almeno un anno in una città europea se si vuole conservare il passaporto sardo». Ancora il sogno di staccarsi dall’Italia? «Ognuno ha le proprie idee. Prendiamo la lingua sarda. Dieci anni fa ho deciso di non parlarne. È una questione che ci divide in modo feroce. Io sono sardo, italiano ed europeo: in me questi tre caratteri convivono felicemente».

Ormai la Sardegna passa per essere una fucina letteraria. I nomi – fra presente e passato prossimo – sono parecchi: Giulio Angioni, Sergio Atzeni, Salvatore Mannuzzu, Marcello Fois, Salvatore Niffoi, Giorgio Todde, Michela Murgia, Milena Agus. E Cagliari vanta autori tradotti in più lingue. «Non mi chieda quale siano le ragioni – mette le mani avanti Soriga –. Di sicuro il nostro capoluogo è una città che aiuta a pensare. E il tratto comune di noi scrittori sardi è che raccontiamo storie. Non puntiamo sull’introspezione o sulla sperimentazione».

Fa parte del dna sardo anche lo straordinario bagaglio di tradizioni che ancora si tramandano. «Oggi, però, un ragazzo di Orgosolo che si è appena svegliato fa la stessa cosa di un coetaneo che abita a Parigi: si collega a Facebook. Non era mai successa una trasformazione simile in Sardegna».

Preoccupa l’emergenza disoccupazione. «È uno dei maggiori problemi dell’isola e in generale del Sud Italia. Abbiamo una generazione che vive grazie al paracadute sociale delle famiglie. Comunque, se osserviamo il panorama regionale, Cagliari soffre meno di altre realtà: un po’ perché il pubblico continua a offrire posti di lavoro; un po’ perché esiste un terziario avanzato, soprattutto nel campo dell’informatica; un po’ perché è una località turistica. Poi c’è da dire che a Cagliari è ancora possibile essere un artista o un artigiano di qualità. Non sarà il Bergamasco dove magari c’è la piena occupazione, ma senz’altro qui si vive meglio».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: