domenica 31 luglio 2011
Dopo la decisione del governo di togliere nove frequenze televisive alle piccole emittenti e destinarle alle compagnie telefoniche non ci sono canali per tutti. Mentre i grandi network nazionali ne ricevono altri sei. Ecco le norme che potrebbero falcidiare voci storiche
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Centinaia di ripetitori delle tv locali dovranno essere spenti fra l’autunno di quest’anno e l’inverno 2012. Quando gli ultimi nove canali televisivi passeranno alle compagnie telefoniche, saranno le piccole emittenti a doverli consegnare ai colossi delle telecomunicazioni per favorire il web mobile. Non i network nazionali (come Rai, Mediaset e Telecom) che, anzi, consolideranno le loro posizioni e potranno beneficiare di altre sei frequenze regalate attraverso un singolare dividendo ribattezzato beauty contest.In fondo sta qui l’illusione del digitale terrestre in Italia. «Col telecomando puoi scegliere fra centinaia di programmi, ma l’oligopolio che dagli anni Ottanta governa la nostra tv si perpetua», spiega Marco Rossignoli, presidente dell’associazione di categoria Aeranti. Il tutto a scapito delle «piccole», quelle che raccontano il territorio dal basso, e spesso sono la voce dei cattolici di una o più province. Un allarme rilanciato anche dalla Federazione nazionale della stampa, che esprime «forte preoccupazione» per la «diminuzione delle frequenze per ingiustificata sottrazione decisa dal governo», uno dei fattori che «mettono a rischio il futuro di emittenti in tutta Italia».A portare le locali a un passo dal black-out è la nuova normativa voluta dal governo che, con la Legge di stabilità e il decreto «Omnibus» di marzo ha messo mano al groviglio delle frequenze che sono il vero bene per un’emittente. «È pur vero che nel 2006 la Conferenza di Ginevra ha chiesto di riservare un segmento della banda tv ai servizi di comunicazione mobile – afferma il direttore della Federazione radio televisioni, Rosario Alfredo Donato – ma non va giù l’idea che i sacrifici debbano essere fatti da un’unica parte». La virata del legislatore lascerà sul campo fra le 200 e le 250 tv locali, ipotizzano le associazioni Aeranti e Corallo.Per le «piccole» questa cronaca di una morte annunciata comincia quando la Penisola sceglie di abbandonare la tv analogica per passare ai bit che consentono di far entrare in una frequenza fino a sei canali. Le emittenti vengono obbligate a sperimentare la nuova tecnologia e a investire per rinnovare trasmettitori e ponti. Ma almeno un obiettivo c’è (prima che l’ultima Legge di stabilità lo alterasse): tutte le tv approderanno all’era digitale. Arrivano i primi switch-off. Ed ecco le tegole: i problemi di ricezione penalizzano soprattutto le locali; e nella numerazione automatica che arriva fino a quota 600, le tv di provincia si perdono nel mare delle offerte.Lo scorso dicembre il Ministero dell’economia decide di fare cassa destinando un sesto dell’etere televisivo alla banda larga mobile. Saranno messi dall’asta 9 dei 56 canali tv. L’introito stimato è di almeno 2,4 miliardi di euro. E a chi saranno tolte le frequenze? Il decreto «Omnibus» è chiaro: alle locali. Nelle regioni dove la televisione è già in digitale, i nove canali dovranno essere liberati entro il 31 dicembre 2012. In pratica alle «piccole» che hanno già avuto la concessione toccherà fare un passo indietro. «Con problemi soprattutto in Lombardia e Campania dove c’è carenza di frequenze rispetto al numero di emittenti», precisa Donato. Invece nelle regioni che passeranno al digitale nei prossimi mesi, quei canali non saranno assegnati. Il caso della Toscana è emblematico. Entro dicembre è previsto lo switch-off: le locali che irradiano nella regione sono 70 ma i canali a disposizione saranno 19. Anche considerando gli spicchi provinciali, almeno la metà rimarrà fuori. Le graduatorie regionali dei «salvati» e dei «sommersi» verranno stilate in base ai bandi del Ministero dello sviluppo economico che usciranno a giorni, basati su quattro parametri: il patrimonio di una tv al netto delle perdite; i dipendenti a tempo indeterminato; la copertura del segnale; e la longevità. Criteri che azzopperanno le tv della porta accanto. Come quelle d’ispirazione cattolica, fondate sul volontariato e dove i bilanci si chiudono a fatica.Le locali rimaste senza canali potranno – bontà loro – affittare uno spazio nei multiplex delle emittenti che hanno mantenuto la possibilità di essere operatori di rete. «Ma sarà come avere la patente e non possedere l’auto – sostiene Rossignoli –. E per far transitare il proprio segnale occorrerà chiedere un passaggio». Poi andrà in fumo l’intero pacchetto di investimenti per i sistemi di trasmissione: se si opta per l’affitto, si dovranno utilizzare antenne e ripetitori di altri. Certo, le locali «espropriate» potranno ricevere un risarcimento: secondo la legge, la torta da spartirsi sarà di 240 milioni lordi (pari a un decimo dell’incasso previsto per la gara della telefonia 4G). «Una somma insufficiente», avverte Donato. «Serve almeno il triplo per coprire i costi sostenuti dalle emittenti per il digitale e avvicinarci al reale valore di mercato delle frequenze», aggiunge Rossignoli. Che cosa attendersi? Il direttore della Frt non si fa illusioni: «Era prevedibile che col digitale avremmo assistito a una razionalizzazione delle tv locali e che sarebbero state premiate le imprese più strutturate». Nonostante le difficoltà, però, c’è la ferma convinzione che la partita ora si fa decisiva. E le emittenti in bilico non hanno alcuna intenzione di darsi per vinte.
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