giovedì 31 marzo 2016
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MILANO Non è un’operazione nostalgia. E nemmeno una mera e cronologica esibizione di rarità, come talvolta capita di incontrare nel variegato mondo dei collezionisti bibliofili. La mostra “I libri Einaudi 1933-1983” allestita al Palazzo delle Stelline di Milano (da oggi al 23 aprile) è un’attenta ricostruzione filologica di cinquant’anni di storia d’Italia tra letteratura, politica, arte, costume, design. Mezzo secolo di cultura del Novecento sotto il segno dello Struzzo col chiodo nel becco, il celebre marchio della casa editrice nata in via Biancamano 2 a Torino il 15 novembre del 1933 su iniziativa del ventunenne Giulio Einaudi (figlio dell’economista Luigi, futuro presidente della Repubblica): un laboratorio di idee che con le sue produzioni ha influito nella formazione di almeno due generazioni di italiani e che ha svolto un ruolo fondamentale nella crescita democratica del Paese. Belli da vedere per le copertine dall’elegante grafica ma soprattutto intriganti per i contenuti e la loro perenne modernità, i trecento libri esposti nelle teche della galleria di corso Magenta. Un passato che sembra presente. Verrebbe voglia di sfogliarli uno ad uno per coglierne l’anima e scoprirne l’essenza. Ma non si può. I pezzi fanno parte della collezione di Claudio Pavese che ha raccolto, con solerzia e criterio, oltre tremila volumi e documenti della Einaudi dal suo nascere ad oggi. Dalla rarissima monografia su Giacomo Matteotti, scritta e stampata nel 1934 da Piero Gobetti, che dell’Einaudi fu un collaboratore, alle Avventure di Topolino, tradotte dall’originale di Walt Disney da un venticinquenne Cesare Pavese (che lavorò anche sul Moby Dick di Melville), con le illustrazioni a cura di Antonio Antonicelli e l’apporto tipografico ed editoriale di Carlo Frassinelli: quella dell’eroe dei fumetti americano è una trasposizione che risale al 1933, quando da noi imperava il fascismo, si è trattato di una sfida di libertà, di un gesto di coraggio che sarà premiato dai lettori, come accadrà spesso anche in seguito nella casa editrice torinese, in un continuo equilibrio tra classicità e innovazione. Libri in prima edizione, riviste come “Il Politecnico” diretto da Elio Vittorini, tutte le 92 collane, dai “Coralli” ai “Gettoni” fino alla variopinta serie di “Tantibambini”, con i testi senza tempo di Gianni Rodari. E poi, ancora, i classici della scienza e della psicologia, da Il significato della relatività di Albert Einstein (1950), a Inibizione sintomo e angoscia di Sigmund Freud (1951), fino al Trattato di psicanalisi scritto da Cesare Musatti nel 1949: l’avanguardia su tutto. Ma anche la filosofia trova un suo autorevole spazio nella mostra con una rara edizione de La città del sole di Tommaso Campanella (1941) curata da Norberto Bobbio. E il teatro, dove spicca una curiosa traduzione in napoletano de La tempesta di Shakespeare firmata da Eduardo De Filippo. Qualità, rigore ed estetica risaltano nell’allestimento curato da Andrea Tomasetig in collaborazione con Cristina Quadrio Curzio e Leo Guerra, una esposizione dove protagonisti sono anche artisti di valore internazionale che hanno realizzato copertine dalla grafica sempre innovativa e accattivante: Abe Steiner, Max Huber, Bruno Munari. Si risponde in tutto alla logica del fondatore Giulio Einaudi, secondo cui «l’editore non deve concepire l’insieme dei lettori semplicemente come un mercato, ma come una società civile... E questo obbliga a ricordare sempre che un libro, prima di essere una merce è e deve restare un libro e rivolgersi, quindi, non a un cliente ma a un uomo». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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