Era l’agosto del 1963. Mentre stavo in villeggiatura in Toscana, l’amico giornalista Giorgio Pecorini mi propose di andare a far visita a un prete, don Lorenzo Milani. Non lo conoscevo. Pecorini mi ha portato in macchina sull’Appennino. Arrivato a Barbiana, il mio primo contatto è stato con i ragazzi. Stavano sotto il pergolato, studiando, scrivendo, facendo cose varie. C’era anche un gruppo a sguazzare in una piscina. Seppi che l’avevano costruita loro. Io vedevo dei ragazzi che si divertivano, ma per don Milani il nuoto era un apprendimento utile, che poteva «servire per la vita». Poi ci fu l’incontro con il “Priore”. Provenivamo da due esperienze diverse. L’esperienza mia era collegata al Movimento di Cooperazione Educativa, nato quando l’Italia aveva “voltato pagina”. Era passata dalla dittatura alla guerra poi alla pace e alla nuova vita democratica. Si trattava, a nostro giudizio, di introdurre anche nella scuola i principi della democrazia, di realizzare a partire dalla scuola la società dei pari, degli uguali. La scuola era ancorata al vecchio modello, il modello verticistico, trasmissivo, “televisivo” in anticipo: io preparo i programmi, tu devi assorbirli e basta. Non devi pensare, non devi creare: questo era il messaggio complessivo. Noi volevamo cambiare quella scuola, per metterla al servizio della democrazia. Don Lorenzo invece era stato formato dalla Chiesa. L’esperienza l’aveva fatta dentro la Chiesa, attraverso il suo apostolato, se così si può dire. Ma io lo trovai curiosissimo a riguardo della mia attività di maestro. Il motivo credo di averlo capito. Anche se i nostri percorsi erano stati diversi, tutti e due avevano lo stesso fine: creare un popolo libero, che sapesse ragionare, pensare, essere artefice del proprio futuro. Alla fine della giornata, don Milani volle che mi fermassi a dormire a Barbiana. Anche il secondo giorno fu pieno di domande. Don Lorenzo voleva sapere com’era la nostra scuola: quante ore lavoravamo, se facevamo scuola anche la domenica, se facevamo delle attività extra che non si facevano a Barbiana. Insomma, tantissime domande per sapere com’era l’Italia al di fuori dei confini di quella piccola parrocchia trasformata in scuola. Spiegai tutte le cose che facevamo nel Movimento di Cooperazione Educativa, seguendo l’esempio di Célestin Freinet. È stato Freinet a introdurre nella scuola il testo libero, il calcolo vivente, la corrispondenza, le attività artistiche, eccetera.
Alla fine dei due giorni, don Milani disse che doveva decidere se collaborare con noi oppure no. Era tentato dalla corrispondenza. Avrebbe voluto fare con i suoi ragazzi una prova dell’arte dello scrivere, come diceva lui, preparando una lettera nella quale trovassero posto i pensieri di tutti, dal più grande al più piccolo. Salutandoci disse: «Siamo in agosto. Se decideremo di tenere una corrispondenza con voi, vi arriverà una lettera tra il Primo e il Quattro novembre». Non ho mai capito il perché di quel periodo preciso. Comunque, entro il tempo stabilito arrivò la lettera datata 2 novembre. Si trattava in realtà di due lettere, la sua, nella quale spiegava come aveva lavorato assieme ai bambini e la lettera dei ragazzi, che descrivevano la loro scuola e spiegavano perché la frequentavano. Questo modo di scrivere, di utilizzare i ragazzi con la freschezza del loro linguaggio infantile per dire cose importanti, era la prima provo di un metodo che avrebbe poi prodotto la Lettera a una professoressa. Ricordo che nello stanzone usato da don Milani per fare scuola, erano esposti gli articoli della Costituzione: lo notai perché io avevo fatto lo stesso nella mia aula. A Barbiana gli articoli più in evidenza erano l’articolo 11 e il 21. L’undici perché dice che «l’Italia ripudia la guerra». Don Milani ebbe poi, proprio su questo, un duro scontro – e anche guai giudiziari – con alcuni cappellani militari in congedo. C’era anche l’articolo 21, il quale dice che tutti (tutti quindi, non tutti tranne i bambini) hanno diritto di esprimere il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo. Si capisce: ogni altro mezzo che la società tecnologica mette a disposizione. Perciò, stando a quell’articolo, avremmo anche il diritto di usare la televisione. Se solo ce lo concedessero. E invece questa televisione, a mio parere, ci vuole muti. Don Milani, al contrario, ha speso la sua vita per «dare la parola». Nel 1963 don Lorenzo era già malato. Non ho più avuto l’occasione di incontrarlo. (testimonianza raccolta da Sandro Lagomarsini il 18 aprile 2009)