Ha spento novanta candeline citando Nietzsche: «Io amo soltanto il Paese dei miei figli, quello ancora da scoprire». I figli sono per Aldo Masullo una declinazione del futuro. Il filosofo, oggi professore emerito di Filosofia Morale alla Federico II di Napoli, dice che ogni età è sempre quella giusta per guardare al futuro: «Mi interessa il futuro – ha scritto – per breve che esso possa essermi dato». E guarda al futuro con la curiosità, l’ardore e la passione dello studioso che lo hanno sempre distinto. Questo entusiasmo è tutto compendiato in
Piccolo teatro filosofico, appena edito da Mursia, in cui disegna palcoscenici possibili dove sono di scena Papa Benedetto e Amleto, Giordano Bruno, Eraclito o un orologiaio per dibattere sulla verità, sull’anima e la giustizia. E quando parla, oppure scrive, Masullo pare avere ancora l’età dei suoi figli o dei nipoti con il futuro tutto da scoprire, immaginare e prefigurare.
Professore, cos’è per lei il futuro?«È l’opposizione al passato. Non ho affatto alcuna antipatia per il passato, che ha la sua importanza: siamo noi stessi. Ognuno di noi è tutto quello che è stato. Nella lingua di Hegel il passato è
gewesen, da cui viene
wesen, essenza. Cioè l’essenza di ciascuno di noi è il suo passato. Ma mentre riconosco l’importanza fondamentale del passato e l’onoro al tempo stesso, non mi fermo al passato che è passato. Credo che l’atteggiamento più umano sia quello di guardare al futuro. Il fatto stesso che viviamo in posizione eretta, guardando davanti a noi, significa che viviamo non retrospettivamente ma prospetticamente».
Il passato però in qualche modo è ancora aperto. Lei dice che bisogna sempre farci i conti.«Come avviene nella vita dei singoli, in quella delle collettività e negli Stati, le situazioni che nel presente si hanno davanti sono situazioni determinate da tutte le scelte precedenti. Questo è il mio passato personale, ma tanto più è il passato delle collettività. Se noi pensiamo ai mali italiani cosa sarebbero questi mali se non il punto d’arrivo non solo di una serie di errori politici ma soprattutto di una serie di mancata cura delle prospettive, della visione del futuro. Coloro che hanno governato la nostra società tenevano presente le prospettive del nostro sviluppo, le prospettive dei nostri bisogni? Se le avessero tenute presente noi oggi saremmo in una situazione diversa. Il passato in fondo cos’è? E l’insieme delle scelte che sono state fatte quando questo passato era davanti al futuro».
Un male sociale per lei è la cattiva comunicazione tra cittadini e istituzioni che è un paradosso nell’epoca moderna propria delle comunicazioni estese e capillari.«Una politica adeguata non può nascere da una separatezza del mondo politico rispetto al mondo complessivo della società. Spesso viene meno quel feedback che è il fondamento non solo di ogni fenomeno fisico, ma umano: cioè la possibilità di retroagire sull’azione fatta. È la retroazione che permette a chi dirige di avvertire i propri errori e quindi correggerli. La cattiva comunicazione significa l’impossibilità della retroazione, perché colui che governa va avanti per suo conto, non tiene conto della reazione, anzi non la sente proprio».
Come dire che il potere vuole essere indiscusso. È la laicità – lei dice – lo strumento di discussione.«Laicità significa apertura a questo continuo confronto: per esempio la possibilità da parte del governato di fare sentire la sua voce al governante. La libertà è tale in quanto la mia azione nasce da una informazione completa. Sono libero quando quello che decido di fare lo decido sulla base di una esperienza chiara, di una informazione precisa, di una valutazione critica che è la mia nel rapporto e nei confronti con l’altro. Il contrario della laicità è la mancanza di comunicazione aperta tra chi detiene un potere e chi viceversa lo subisce. Il concetto stesso di laicità è
laos che in greco significa popolo. Nella Chiesa primitiva era la distinzione tra il popolo e coloro che sono portatori di un crisma, di una sacralità. Ma lasciamo il piano religioso: sul piano sociale laicità significa che non possono esserci separazioni tra gruppi che detengono il potere e coloro che lo subiscono».
In un periodo della sua vita, come parlamentare, ha voluto contribuire alla crescita della società con l’azione politica, ma come filosofo che apporto può dare? Come dire, qual è il ruolo del filosofo nella nostra società?«Filosofo è una parola che nasconde cose diverse dentro di sé. Prima di Platone che parlò di filosofia c’erano i
sofoi, in greco i sapienti, e
sofos significa annusatore. Erano quelli che annusavano i cibi, il vino, l’olio e sapevano distinguere il buono e il meno buono. La prima fondamentale funzione dell’intelligenza è quella di saper distinguere, cioè la capacità di discrimine. Il filosofo è colui che ama la capacità del discernere e del distinguere. In sostanza, in una visione laica, tutti i cittadini sono portatori di questa capacità anche se non l’hanno pienamente sviluppata. Il filosofo invece è quella persona che ha sviluppato con particolare attenzione questa capacità del distinguere. È un uomo come tutti gli altri che persegue la capacità del vivere non prigioniero della sua confusione ma spalancando gli occhi».